DALLA DIOCESI - Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa, vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri, infatti, che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti arrivino alla salvezza» (LG 18). È con queste parole che il Concilio Vaticano II apre la trattazione sul ministero ordinato.


I presbiteri (che significa “gli anziani”) sono coloro che, con il sacramento dell’ordine, per divina istituzione, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri (cf. CIC can. 1008).
Il sacerdozio ministeriale, che si distingue da quello comune di tutti i battezzati, non è, quindi, un premio che qualcuno riceve per aver avuto dei particolari meriti. Esso è un ministero, cioè un servizio, che viene dato ad alcuni tra i fedeli perché siano «consacrati e destinati a servire con nuovo e peculiare titolo, il popolo di Dio» (CIC can. 1008), «per offrire il sacrificio e perdonare i peccati» (PO 2). Dunque «alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio» (CCC n.876) affinché il popolo santo di Dio possa più facilmente giungere alla salvezza.
Ogni sacerdote è chiamato da Dio a questa missione e quindi partecipa in modo diverso, più diretto e stretto, della vita stessa del Maestro, come ricorda il Vangelo di Marco: Gesù «chiamò a sé quelli che voleva … perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni» (Mc 3, 13-15). Il sacerdote, sul modello del Maestro, dona completamente la sua esistenza a Dio e, in una vita che giorno per giorno si impegna ad essere casta, povera ed obbediente, eleva l’umanità verso Dio.
Il ministero sacerdotale deve essere vissuto tenendo gli occhi fissi verso il cielo, verso l’eternità, dove il ministro confida di poter entrare assieme al suo popolo un giorno, per la misericordia di Dio. È un fine soprannaturale e spirituale, dunque, quello che lo anima. Per questo egli assolve al suo compito, in modo peculiare, con la preghiera, amministrando i sacramenti e parlando delle cose di Dio. Egli non è un “operatore sociale” ma un peccatore perdonato che ricorda ai fratelli che siamo fatti per il cielo.
Come ricorda la Pastores Dabo Vobis, «esiste, dunque, un intimo rapporto tra la vita spirituale del presbitero e l’esercizio del suo ministero» (PDB 24). Insegna, perciò, il Concilio che «la stessa santità dei presbiteri contribuisce non poco al compimento efficace del loro ministero: infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare l’opera della salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l’Apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e santità di vita: “ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me” (Gal 2,20)» (PO 12).

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