21 Giubbi

SAN MINIATO- A fine agosto 1944 gli eserciti americano e tedesco si fronteggiavano sull’Arno. Il territorio sanminiatese era sotto il controllo statunitense: gli Alleati erano arrivati il 24 luglio e i combattimenti si erano spostati in pianura, per stabilizzarsi lungo le rive del fiume che fu oltrepassato solamente il 1 settembre. La popolazione era stremata da due mesi di guerra: oltre 200 vittime civili nel solo Comune di San Miniato - fra cui le 55 della strage del Duomo - centinaia di feriti, migliaia di sfollati, generi alimentari e medicinali introvabili. È in questo contesto che si inserisce la lettera del Vescovo Ugo Giubbi al Card. Elia Dalla Costa Arcivescovo di Firenze. Si tratta di un documento rimasto finora inedito, ma di grande valore poiché rende testimonianza del clima durante il passaggio della guerra, la difficilissima situazione delle parrocchie nella Diocesi di San Miniato, ma anche il dramma personale dello stesso Mons. Giubbi, che turbò il suo spirito fino alla morte.


Il Vescovo sanminiatese fu vittima di una gravissima volgata diffamatoria: fu accusato di complicità con i tedeschi nell’eccidio del Duomo di San Miniato, avvenuto il 22 luglio 1944. Nella lettera riferisce anche di questo drammatico episodio, che invece fu causato da un colpo di artiglieria statunitense. Già nel 1945, il Giudice Giannattasio - chiamato a redigere le conclusioni dell’inchiesta promossa dall’Amministrazione Comunale - aveva chiarito che «Le autorità religiose, che si sostituirono alla autorità civili mancanti, dettero alla popolazione ogni assistenza spirituale e materiale, comunicando ai cittadini gli ordini che il comando germanico trasmetteva verbalmente. Mons. Vescovo non si trovò presente nella Cattedrale nel momento più doloroso, perché si era recato a celebrare la Messa nella cappella del rifugio, ma era stato fino a poco tempo prima fra i fedeli a pronunciare parole di incoraggiamento, ed incitare alla preghiera e appena possibile, ritornò nella Cattedrale, ove altri sacerdoti impartivano l’assoluzione ai morenti e davano soccorso ai feriti. L’opera che il Clero di S. Miniato svolse in quei tristissimi giorni è superiore ad ogni elogio».
L’animo del Vescovo invece è turbato per la consapevolezza di essere stato, seppur indirettamente, «strumento di questo eccidio per aver impartito ordini che mi furono fatti impartire per la salvezza della popolazione e che se fossero stati eseguiti subito con fede e disciplina, io penso, sarebbero riusciti allo scopo». Questo è il passaggio chiave della lettera.
Per comprendere il significato delle parole di Mons. Giubbi, occorre ricordare che alla metà di luglio 1944 la 14° Armata tedesca venne disposta sulla linea dell’Arno e scattò l’ordine di evacuazione della popolazione. Proprio in quei giorni i tedeschi avevano iniziato a minare le abitazioni sanminiatesi, dovevano tenere sotto controllo un ampio territorio e fronteggiare, oltre agli Alleati, anche bande di partigiani. Desideravano avere campo libero, non tanto per l’incolumità dei civili, quanto per la sicurezza e la gestione dei propri soldati che agivano in reparti ridotti e avevano subito alcune aggressioni. Lo stesso Vescovo, interrogato il 1 ottobre 1944 dalla Commissione d’Inchiesta, riferì che «La sera del 18 luglio all’imbrunire, venne in Episcopio un soldato tedesco... ad avvertire che bisognava sgomberare.... Lo feci riflettere... che la popolazione era molta, l’ora era tarda e che era un voler mandar via alla cieca le persone e un volerle mettere in pericolo...».
Nelle parole del Vescovo c’è il rammarico per non aver dato seguito all’ordine di evacuazione del 18 luglio, ma di aver fatto rispettare quello del 22 luglio: radunare la popolazione in piazza dell’Impero e in piazza del Duomo, per poi farla entrare in San Domenico e in Cattedrale, dove di lì a poco sarebbe avvenuta la strage. La frase deve essere letta in questo modo: se gli ordini di evacuazione del 18 fossero stati eseguiti «subito con fede e disciplina, io penso, sarebbero riusciti allo scopo». Ma chi poteva immaginare quello che sarebbe accaduto, che un colpo d’artiglieria americana sarebbe penetrato nella Cattedrale?
Dunque nella lettera ricostruisce con lucidità l’evoluzione degli avvenimenti precedenti la strage, le difficoltà incontrate dalle indagini, ma esprime anche il suo grande dolore. Il suo animo non è turbato dalla calunnia, che pur cominciava a circolare e che sopportò con la serenità dell’innocente, ma proprio dall’essere stato un protagonista determinante di quel giorno, «che non si potrà dimenticare giammai e che, credo, mi abbia tolto per sempre il sorriso dal cuore e dal volto».
Pur cercando di operare al meglio per la sua gente, di fronte allo strazio personale per essersi ritrovato, suo malgrado, coinvolto in una vicenda drammatica di tali proporzioni, ecco la decisione di abbracciare la Croce e di offrire a Cristo le proprie sofferenze, come scrisse nel diario personale il 25 settembre 1944: «Io voglio lasciare tutto nelle mani di Gesù. Sopportare questa menomazione del mio nome [...] per sconto dei miei peccati e non lasciarmi distrarre da ciò che è il mio dovere, sia personale: ricercare Gesù, fino a farne veramente la mia vita, sia di ufficio: curare, meglio che non abbia fatto fin qui, la diocesi [...]. Gesù penserà a me! Io cercherò di amare Lui. E le sofferenze le offro a Gesù, per le anime, per la diocesi, per sconto dei miei peccati». E con la lettera si comprendono meglio anche le parole pronunciate dal Card. Dalla Costa per ricordare Mons. Giubbi ad un mese dalla morte nel 1946: «Uomo semplice e retto e ricco di timor di Dio, mentre non conobbe che il dovere, in tutto e sempre guidato da quella fede che fu il sole illuminatore della sua vita, coronata dall’amaro assenzio della tribolazione e dalla preziosa morte dei giusti. Sia in pace e benedizione la sua memoria» (da Il segreto del vescovo Giubbi: pastore della diocesi di San Miniato dal 1928 al 1946, a cura di Mons. Fausto Tardelli, Diocesi di San Miniato, Supplemento al n. 33 di Toscana Oggi del 24/09/2006).

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