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SAN MINIATO - Domenica 29 ottobre, alle 17, in Cattedrale a San Miniato, Luca Carloni e Massimo Meini sono stati ordinati sacerdoti dal Vescovo Andrea. Riportiamo di seguito l'omelia pronunciata dal nostro Presule:
"Il mio cordiale saluto a tutti voi, carissimi: agli ordinandi don Luca e don Massimo, insieme alle loro famiglie e alle comunità cristiane che li accompagnano oggi; il saluto a tutti i presbiteri diocesani presenti, ai religiosi e alle religiose; ai sacerdoti amici degli ordinandi e al gruppo di preti provenienti dal Seminario Lombardo in Roma, accompagnati dal rettore don Ennio Apeciti; ai diaconi; il saluto anche a tutti i seminaristi, quelli di San Miniato e quelli di Firenze e di altri seminari che risiedono a Firenze, accompagnati dal rettore don Giampaolo Bitossi e da alcuni altri educatori; il saluto anche al coro che ci accompagna e a tutti i presenti in questa liturgia.
A tutti voi, con gratitudine, pace e salute.
In una cornice liturgica singolare celebriamo oggi, con gioia, l’ordinazione presbiterale di don Luca e don Massimo: la festa del Ss. Crocifisso di Castelvecchio.
Questa preziosa reliquia è conservata nella vicina Chiesa del Ss. Crocifisso e rimane come memoria della fede di tanta gente che nel Crocifisso piagato ha visto il segno della presenza miracolosa di Dio, nel miracolo del costruire la pace e del provvedere ai beni della terra anche con il dono della pioggia, nel tempo della carestia. La pace e la custodia del creato, doni di cui oggi abbiamo particolare bisogno.
Siamo tutti invitati a guardare al Crocifisso, non semplicemente a quello che conserviamo nella nostra Chiesa, ma al Crocifisso Gesù per scoprire oggi e vivere che dal dono della sua vita, dalle sue piaghe scaturisce il fiume di Grazia che oggi visita la nostra comunità e trasforma la vita di due giovani perché diventino ministri di Cristo, di quel dono della sua vita.
Ci guidano le letture proclamate, proprie di questa santa liturgia nella festa del Ss. Crocifisso.
Il libro dei numeri ripresenta il cammino dell’esodo e la fatica dell’imparare a credere da parte del popolo. Israele aveva proprio bisogno di camminare per quarant’anni nel deserto per imparare e conoscere l’amore di Dio per lui, per fare esperienza del Dio che salva.
La vicenda che oggi ci viene narrata è narrazione e proclamazione di questo Dio che salva. Il popolo è nel pericolo, mormora, si lamenta, perde la fiducia in Dio, come tante volte gli capita (“perché qui non c’è né pane né acqua). L’incredulità rende il popolo debole, vulnerabile, esposto ai pericoli, come quello dei serpenti: “mordevano la gente e un gran numero di israeliti morì”.
Si erge allora la figura di Mosè, la guida: egli anzitutto prega (“Mosè pregò per il popolo”) e poi pone il segno del serpente sopra l’asta, da esporre alla visione di tutti. Una immagine che il vangelo rileggerà come icona e prefigurazione del Cristo Gesù innalzato sulla croce. 
La vicenda del popolo e di Mosè diventa per noi evocativa riguardo al ministero del prete e al dono che voi, don Luca e don Massimo state per ricevere.
C’è anzitutto un cammino condiviso: un popolo che cammina nel deserto, incontra fatica, difficoltà, si lamenta, è nel pericolo e con loro Mosè. Annota il testo: “Il popolo venne da Mosè e disse: ‘abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore…”.
E la prima immagine di questa narrazione che illumina oggi il vostro diventare preti. Come Mosè, il prete è un uomo che cammina con il popolo di Dio. Non si diventa preti per una propria devozione e neanche perché singolarmente “ho sentito la vocazione”, ma si appartiene ad un popolo nel quale è nata la vocazione, la vostra disponibilità ad ascoltare la voce di Dio e, camminando con il popolo, il mettervi a disposizione di Dio e della sua volontà. Il prete è uomo della gente, prima che del sacro! Il prete non diventa tale per vivere al singolare, ma per essere, in comunione con tutto il presbiterio, nella piena condivisione con il cammino di tutto il popolo. Egli non ha una dignità maggiore di qualsiasi altra persona, neanche vive una vocazione privilegiata rispetto alle altre o forse migliore; si diventa preti non per essere rivestiti di un potere maggiore, ma per servire di più. E si può servire solo se si cammina con il popolo, con la disponibilità a condividere tutto, anche le fatiche e ad ascoltare la voce del popolo, come fa Mosè. Don Luca e don Massimo da preti state tra la gente, capaci di stringere relazioni autentiche, umane, sane, cordiali. Sappiate ascoltare la voce del popolo, delle persone che vi saranno affidate. Solo nel popolo di Dio avrà senso il vostro sacerdozio.
Mosè poi pregò per il popolo. Egli ci insegna un metodo, uno stile. Non si tratta, camminando con il popolo, di essere coloro che risolvono i problemi altrui, quasi che si debba dare ogni risposta. Il primo atteggiamento è mettersi in ascolto di Dio. La preghiera di Mosè è prima di tutto la preghiera di chi incontra Dio, lo ascolta, cerca la sua volontà. E in questo ascolto osa chiedere e presenta al Signore i bisogni del popolo.
Ecco lo stile del vostro essere preti tra la gente: l’ascolto di Dio e la preghiera di intercessione che nasce dall’ascolto del popolo. Se ci si dovesse chiedere cosa si deve fare per prima cosa nel nostro ministero, nel condividere il cammino, oggi la Parola di indica la preghiera. Ad essa carissimi dovete dedicarvi, sia con l’attenzione alla preghiera della Chiesa, la liturgia delle Ore e la celebrazione dell’Eucaristia, sia con la vostra preghiera personale che si deve nutrire dell’ascolto costante, quotidiano della Parola di Dio. I grandi santi della carità, come madre Teresa di Calcutta, non sarebbero stati tali senza la preghiera abbondante nella loro vita.
Infine Mosè “fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita”.
La salvezza di Dio passa attraverso un segno: il serpente di bronzo. Ci sono dei segni che ci parlano di Dio e della sua opera di salvezza, di amore, di misericordia. Come Mosè, il prete, nella comunità è colui che deve porre i segni che indicano e donano la presenza di Dio e la sua opera di salvezza.
Il primo segno che il prete può porre è la sua stessa vita: il cammino segnato da una povertà gioiosa, da una verginità nel celibato feconda e capace di dedizione, da una obbedienza che insegna a non mettere al primo posto la ricerca del proprio bene. Ma soprattutto il segno di cui oggi abbiamo bisogno è quello di un prete che sia gioioso, capace di bene, dagli orizzonti ampi. Ecco il primo segno che potete porre nella comunità: la vostra vita come vita donata nella gioia. E la gioia sarà la testimonianza più efficace e di cui abbiamo bisogno.
La Chiesa poi vi affida altri segni, in particolare i sacramenti. Attraverso la loro celebrazione si celebra la Pasqua di Cristo e chi li accoglierà, chi li riceverà avrà in dono la vita. Il segno di cui abbiamo bisogno è l’autenticità della celebrazione dei sacramenti per la gente, con lo stile essenziale della fede e della liturgia e non secondo una cura soltanto ostentata ed esteriore dell’azione liturgica. Celebrerete i sacramenti, nella fedeltà alla Chiesa, e chi li “guarderà”, chi li riceverà sarà salvato.
La pagina evangelica di nuovo ci invita a guardare al Crocifisso: “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”. Ma l’immagine che ci viene offerta non è abitata dal dolore e dal vittimismo, ma ha una forza sorprendente: si parla di amore (“Dio ha tanto amato il mondo”) e di salvezza, di vita (“chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”… “il mondo sia salvato per mezzo di lui”).
Lo sguardo al Crocifisso che anche oggi la liturgia ci propone non si ferma ai segni e al dolore della morte, ma è già abitato dall’annuncio della Risurrezione. Amore e vita, la salvezza che ci è data per il dono della vita: ecco di cosa parla il Crocifisso.
Siate anche voi preti orientati al Crocifisso, adoranti del Signore morto in croce, per raccontare la gioia della sua presenza, per gridare a tutti che egli è vivo, è il risorto, è il vivente.
Siate preti della luce dell’alba di Pasqua. Noi non celebriamo un morto, ma il Vivente e siamo sacerdoti di un Dio della vita, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe che non è un Dio dei morti, ma dei viventi.
Quale augurio dunque possiamo consegnarvi in questa celebrazione cari amici Luca e Massimo? Ce lo suggerisce Paolo nella lettera ai Filippesi. Egli, in questo inno cristologico, narra la Kenosi, l’abbassamento di Cristo, fino alla morte di croce e insieme la sua esaltazione, la sua glorificazione. A Lui si deve la lode e la gloria. E’ il cammino di Gesù, la sua vita. E il discepolo, il prete è chiamato a seguire i passi di Gesù, a stare dietro a Lui. L’itinerario narrato da Paolo è quello di Gesù, il suo… unico e irripetibile. A noi è chiesto di stare dietro a Lui, di vivere da discepoli, consapevoli che qualunque sia il cammino della nostra vita c’è Lui, il Signore, accanto a noi e alla nostra gente nella vita che incontra l’abbassamento, la desolazione, talvolta la malattia e nella vita che ritrova la speranza e la operosità. Carissimi Luca e Massimo non abbandonate mai la via di Gesù…
Mi hanno colpito le vostre immaginette ricordo della celebrazione di oggi. Come è comprensibile per la festa che stiamo vivendo hanno come tema il crocifisso. Vorrei comprenderle alla luce di quello che con simpatia e grande fede aveva un giorno detto il vescovo Tonino Bello. Così racconta:
“Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria.
La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la Croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo…
Coraggio, tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga”.
Cari don Luca e don Massimo a voi è raccontato oggi che la croce è sempre una collocazione provvisoria e di questo dovete farvi annunciatori.
Lo sapeva bene Maria, sotto la croce. Lì ha visto il Figlio morire, anche lei con straziante dolore. Ma il cenacolo, il luogo dove è risuonato l’annuncio della Pasqua e dove si è scatenato il rombo del dono dello Spirito è stato per Maria, con gli apostoli, esperienza che quella croce era collocazione provvisoria. Ed è nata la Chiesa, in missione, in uscita.
Vi accompagni Maria e con Lei, orientati al Crocifisso, raccontate a tutti quell’annuncio che nasce dal cenacolo".

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