Ermanno olmi1

CULTURA - Ad Asiago. all’età di 86 anni, è morto il maestro Ermanno Olmi, regista, sceneggiatore e scrittore bergamasco.
La sua morte rimarrebbe solo un dolore profondo per i suoi cari e per gli amici più veri e non un’impronta di riflessione, di ammirazione e di guida cristiana per tutti se non ci avesse lasciato una testimonianza culturale intrisa di grandi valori spirituali ed umani che ogni uomo e ogni comunità dovrebbe possedere.

La sua attestazione di vita da credente e da cattolico l’ha manifestata senza timore nei suoi film, rappresentando il cristianesimo «come religione dei poveri, degli ultimi», afferma il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
«Il suo era un cinema dalla spiritualità tormentata, - aggiunge il cardinale - era la rappresentazione della dolcezza e della tenerezza, era soprattutto il cristianesimo della crocifissione. Cristo lo troviamo nella sofferenza, nel limite, nella caducità e quindi il dolore, le ingiustizie del mondo erano per Olmi il luogo epifanico per eccellenza».
È proprio in questo termine «epifanico» che si rivela il suo pensiero, reso visibile e vivo nei suoi film.
La sua religiosità è contrassegnata da un carattere schiettamente realistico e da un sincero e profondo attaccamento alla tradizione, riportati in vocaboli e costrutti del linguaggio popolare.
Il suo mondo ideale era quello contadino, contrassegnato dalla saggezza, dalla tenacia, dalla umiltà, dalla schiettezza, dalla forza della preghiera e dal sacrificio che proveniva dal lavoro dei campi.
Olmi ha cercato di rappresentare i costumi, le idee, gli aspetti essenziali di un mondo reale agricolo, naturale che fotografasse oggettivamente la realtà sociale e umana nella sua sua interezza, rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più umili ed analizzando gli aspetti concreti della loro vita.
Riportiamo alcune frasi del libro di Beppe Chelli, «Nulla per sempre», che ci introducono con obiettività in questo mondo agreste.
«La vita, sempre all’aperto nella bella stagione, durante l’inverno i contadini la passavano al riparo dalle intemperie nel cigliere, mai inoperosi: trovavano sempre qualcosa da fare, perché il daffare non manca mai….».
Reale ancora di più ed appropriata la descrizione che Beppe fa della grande cucina contadina, il focolare domestico della famiglia, dove si consumava il miglior tempo e che il maestro Olmi nel suo film «L’albero degli zoccoli» ci presenta in molte toccanti scene.
«L’ampia cucina era la stanza più frequentata. Era utilizzata per mangiare, per stare a veglia o per parlare dei lavori del giorno dopo. In mezzo troneggiava il focolare, basso ed ampio con ai lati i muretti che servivano da sedili. Agganciato ad una grossa catena dentro la cappa pendeva sempre, estate e inverno, il paiolo di rame incrostato di fuliggine fuori, ma lucente a specchio dentro, dove c’era sempre l’acqua calda. In famiglia c’erano vecchi e bambini. Molto tempo lo passavano insieme a raccontare e sentire le novelle, a fare cavallino ria-rrò, staccia buratta o pisto pistugno….».
«Io sono figlio di quella terra, per me è come fare il ritratto della madre».
Così Ermanno Olmi riassumeva il messaggio dell’«Albero degli zoccoli», piccolo gioiello del cinema, girato nel 1978, premiato con la Palma D’Oro al Festival di Cannes che gli è valso la riconoscenza di quanti hanno sentito almeno una volta il bisogno di riscoprire i paesaggi, i personaggi, i riti ed i modi di vita millenari della propria terra.
Quello che più colpisce in Olmi è il legame con il Divino attraverso la preghiera, questa sconosciuta oggi per molti di noi. I suoi personaggi semplici, umili e disagiati ricorrono sempre alla preghiera come fonte di aiuto, di speranza, di fede.
Ammirevole questo aspetto e nello stesso tempo provocatorio per l’inquieta ricerca di un punto fermo a cui aggrapparsi nel bisogno come nella tranquillità, in piena fiducia, per la vita di ogni giorno.
È la fede considerata inquietudine che smorza i sacrifici in una spiritualità tormentata ma sempre viva.
Olmi ama la pace, la desidera e la propone.
Riguardo al suo ultimo film «Torneranno i prati» afferma: «Vorrei che ancora, prima che bello fosse utile».
È un film che narra vicende tristi vissute da giovani soldati nelle trincee, in alta montagna, durante la Prima Guerra Mondiale.
Nel centenario di questa guerra il maestro dice: «In tutte le celebrazioni il pericolo è lo sventolio di bandiere; ci vuole anche questo, ma guai se fosse il solo eseguire. I nostri giovani venivano dai latifondi, poveri, uguali agli austroungarici nella trincea di fronte, che cosa fosse la guerra nemmeno se lo chiedevano».
L’obbedienza civile e militare oscura la dura realtà della loro missione di combattenti, senza pensare che essi andavano al massacro: 50 mila sono morti sull’Altopiano di Asiago, provenienti da 23 nazioni.
Sulla morte, però, vince sempre la vita ed Ermanno Olmi aveva cara un’evocativa battuta: «Dopo una disfatta, tutti tornano a casa loro, e dopo un po’ tornerà l’erba sui prati».
Tornerà la pace e in fratellanza, i popoli devono vivere, progredire, aiutarsi a vicenda per il bene loro comune.
Tornerà la Pace, Olmi ci crede, ci crede ancora. E noi?
Il valore umano di Ermanno Olmi, la sua attenzione per la vita del lavoro, dei semplici, viene confermato nella motivazione con cui nel 2013 l’Università di Padova gli conferisce la laurea Honoris causa in Scienze Umane e Pedagogiche «per la sua azione di valorizzazione delle radici culturali, della memoria, delle tradizioni, della grande grande storia, dell’esperienza quotidiana e delle piccole cose».
Questo era Ermanno Olmi, testimone ed esempio per tutti di una fede ancorata alla premiante volontà del Buon Dio.

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