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SAN MINIATO - Il dramma popolare festeggia la sua settantesima edizine. E lo fa in grande, in ossequio ai principi dei padri fondatori, porta nelle piazze e nei luoghi d’incontro i teatro dello spirito.
Un’edizione incentrata sulla narrazione della vita di grandi sacerdoti scomodi. Ne abbiamo parlato con don Piero Ciardella, direttore artistico dell’ Istituto.

Don Piero, può fare una prima analisi del festival del teatro di quest’anno?
«Ogni anno, da quando ho la responsabilità della direzione artistica della Festa del Teatro, ho cercato di scegliere una serie di spettacoli che, pur nella diversità di stile e di genere, potessero offrire l’approfondimento di una tematica, scelta, di volta in volta, a partire dallo spettacolo principale. Quest’anno, avendo scelto di rappresentare un Dramma incentrato sulla figura del Vescovo Romero, ho pensato di proporre alcuni spettacoli che gravitano attorno al tema della “fede”, analizzata da diverse angolature e approfondita attraverso l’incontro e il confronto con alcuni “testimoni” di oggi. Infatti, sono persuaso che il messaggio che possiamo trarre dalla storia così particolare ed eccezionale del Vescovo Romero, stia proprio nel richiamo, rivolto a tutti, ad una fede capace di testimoniare in maniera credibile il Vangelo di salvezza all’uomo di oggi. Mons. Romero ha testimoniato la sua fede con il martirio. Non a tutti, ovviamente è chiesta una misura così alta di testimonianza, tuttavia a tutti è chiesto di donare la propria vita per la causa del Vangelo. Romero ha scritto molto significativamente: «dare la vita non è solo quando uccidono una persona; dare la vita, avere uno spirito di martirio, significa servire nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; nel silenzio della vita quotidiana, camminare dando la vita, come la dà la madre che senza tante agitazioni, con la semplicità del martirio materno, partorisce, allatta, fa crescere, si prende cura con affetto del suo figlio. Questo è dare la vita”.»

Perchè la scelta di parlare di sacerdoti?
In linea con quanto dicevo precedentemente, quest’anno ho ritenuto importante far incontrare il pubblico, oltre che con il vescovo Romero, con alcune figure di sacerdoti che, a loro modo, hanno vissuto nella loro vita l’esperienza del martirio, e per questo sono stati e rimangono tutt’oggi esempio di una testimonianza cristiana capace di svegliare le nostre coscienze. Si tratta di due sacerdoti, don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, il primo molto conosciuto, perché si tratta di un nostro «vicino di casa», il secondo meno noto, ma non per questo meno interessante. Entrambi, pur nella loro singolarità, sono testimoni profetici di una Chiesa attenta agli ultimi, dedita alla promozione di quella fetta di umanità che papa Francesco, con un’espressione molto forte, chiama «gli scarti della società». Ogni testimonianza è unica perché uniche sono le persone e il contesto storico in cui vivono, tuttavia credo si possa trarre dalla vita di questi due sacerdoti degli importanti stimoli perché ciascuno, prete o laico, possa vivere la propria fede in maniera personale e incarnata.

La volontà di raccontare le storie di «sacerdoti scomodi» vuole essere un richiamo anche per il clero di oggi?
«Il cristiano, quando incarna il Vangelo, è sempre una persona scomoda. Lo è perché è il messaggio stesso del Vangelo ad essere in ogni epoca della storia una parola di fuoco, capace di incendiare il cuore d’amore per Dio e per l’intera umanità, ma anche di condannare il peccato e tutte le sue conseguenze. Diceva mons. Romero: «Una predicazione che non denunci le realtà peccaminose nelle quali si fa la riflessione evangelica non è Vangelo». Don Lorenzo e don Primo sono certamente stati e continuano ad essere preti scomodi perché hanno preso sul serio il Vangelo. La loro testimonianza, soprattutto, è stata profetica nell’anticipare quel modello di Chiesa «in uscita» di cui tanto parla papa Francesco, e che era nel cuore e nella mente di Papa Giovanni XXII, quando, inaugurando il Concilio Vaticano II in un radiomessaggio disse che la Chiesa «è e vuole essere, la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». Lei mi chiede se il messaggio di questi preti “scomodi” risuona di richiamo a tanti preti. Le dirò che, innanzitutto il loro messaggio risuona attuale per tutti i cristiani. Sarebbe un errore e un tradimento del Concilio se continuassimo a pensare che la missione della Chiesa sia una preoccupazione che riguardi solo i preti e i vescovi: tutto il popolo di Dio è chiamato a convertirsi per essere sale della terra e luce per l’umanità. Certamente noi preti siamo stimolati in maniera speciale dal messaggio di questi confratelli. Io credo che oggi ci siano molti sacerdoti che esemplarmente testimoniano con la vita la fedeltà a Cristo e al gregge loro affidato, tuttavia non si può non riconoscere che essere preti in un mondo così complesso come è quello in cui viviamo non è sempre facile. Di fronte alle difficoltà che nascono all’interno delle parrocchie, alle crescenti richieste di far fronte ai problemi economici e sociali di un sempre maggior numero di persone che quotidianamente bussano alla porta delle canoniche, al fatto di trovarsi in un mondo che sembra sempre più ostile alla Chiesa, noi preti corriamo il rischio di essere assaliti da un senso di impotenza, di riparare in difesa, di rinchiuderci nelle sacrestie e di allontanandoci dalla vita concreta delle persone. Ma questo è un tradimento del Vangelo e della nostra vocazione. Per questo papa Francesco non smette di rivolgerci inviti a cambiare stili di vita, a non cercare onori o ad adagiarci in una vita di privilegi e di comodi, per essere pastori "con l’odore delle pecore". Mi auguro che ripensare alle figure di mons. Romero e a quella degli altri due sacerdoti, aiuti in primo luogo noi preti, a fare un esame di coscienza perché possiamo far fronte alle sfide che questo tempo così difficile e al tempo stesso così bello ci offre».


Anche lo spettacolo principale, Il martirio del pastore, parla di Oscar Romero, non certo un vescovo «ordinario»...

«Certamente mons. Romero è stato un Vescovo "straordinario", e lo è stato non solo per il suo martirio che ha sigillato con il sangue la sua testimonianza, ma perché nella sua intera vita egli ha dimostrato un singolare amore a Cristo, alla sua Chiesa e ad ogni uomo. In questo sta la sua grandezza e la forza del suo messaggio che, lo ripeto, è rivolto a tutti. È l’amore che spiega la fortezza di uomo che ha perseverato nel fare il bene e nel predicare Cristo e la sua giustizia nonostante le incomprensioni e le minacce di morte.


Ci può anticipare se il testo tratterà della tanto dibattuta "Teologia della Liberazione", a cui spesso è associato il Vescovo Romero?

È noto che la figura di Romero è stata in questi anni oggetto di molte critiche e di forti dissensi proprio a causa del suo presunto impegno politico e del suo appoggio alla teologia della liberazione. In realtà, se si leggono i suoi scritti e le molte omelie con mente libera da ogni condizionamento ideologico, ci si accorge che il motivo interiore che ha sempre mosso l’arcivescovo nella sua opera di evangelizzazione è unicamente legato alla fedeltà al Vangelo. Predicare il Vangelo, egli diceva, è anche accusa dell’ingiustizia, e Romero ha condannato il potere repressivo del suo tempo, non per motivi ideologici o politici, ma solo per amore a Cristo e a coloro che erano vittime della violenza e dell’ingiustizia. Se Romero può essere considerato un teologo della liberazione è solo in quanto, la parte migliore di questa, si è fatta carico di interpretare il Vangelo come forza di liberazione totale dell’uomo. Il testo del drammaturgo costaricense Samule Rovinschi, dedicato agli ultimi tre anni di vita del vescovo Romero, è stato non solo tradotto, ma anche adattato ad un pubblico che è per lo più estraneo alle vicende storiche dell’America latina di quei tempi. Rimane dunque un’opera che presenta il dramma interiore di un uomo che per la fedeltà alla missione affidatagli da Cristo, ha denunciato con la voce e con il sangue, l’ingiustizia che è originata dal peccato. Il contenuto del Dramma che verrà rappresentato quest’anno sulla piazza del Duomo lo si può racchiudere in queste parole di Romero: "Io voglio essere uno strumento fedele e docile all’azione dello Spirito Santo in questi tempi; presto la mia voce al Signore per essere la voce di chi non ha voce”».