razzismo1

RIFLESSIONE - Insieme a «populismo», «demagogia» e «democrazia», vocaboli su cui mi sono esercitato concettualmente in un precedente numero del settimanale, sembrano esservi ancora due termini su cui tutti non possono fare a meno di discettare in queste settimane, dagli ambienti politici e accademici, ai giornali di destra e sinistra, dagli studenti nelle scuole agli incalliti frequentatori da bar. Mi riferisco alle parole «migrazione» e «razzismo».

Certo sono sulla bocca di tutti perché l’effetto sociale dei flussi migratori sta vistosamente cambiando l’assetto delle nostre città europee.
È il passato, però, a darci gli strumenti necessari per capire meglio il presente, cogliere ciò che sta succedendo alla luce di ciò che è già successo, dando un senso nuovo agli eventi.
L’uomo fino al medioevo era essenzialmente nomade e si spostava con indifferenza da un luogo ad un altro, senza controlli. Come testimoniano le fonti archeologiche, durante l’antichità il Mediterraneo è stato percorso da navi ed eserciti che si spostavano da una parte all’altra delle sue coste per creare sbocchi mercantili ed ampliare regni. Le statistiche storiche riportano che dalla fine del ’500 a oggi, oltre cinquanta milioni di europei sono migrati verso le Americhe, l’Africa e l’Asia, colonizzando vaste aree del pianeta. Il colonialismo territoriale diviene poi vero e proprio "imperialismo economico" durante l’Ottocento.
Da questi secoli fino ad inizio Ottocento ben undici milioni di africani vengono poi deportati dagli europei in America. È la tratta degli schiavi, primo grande episodio di migrazione forzata su vasta scala.
In più di un secolo, tra ’800 e ’900 anche l’Italia ha visto espatriare più di sedici milioni di persone verso Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile e Australia.
Con la Seconda guerra mondiale, una nuova figura di migrante si interpone poi nelle rotte migratorie: il profugo che fugge da guerre e persecuzioni e, nello specifico, il profugo ebreo che fugge dal delirio nazista.
È con la Convenzione di Ginevra del 1951 che si introduce la figura giudica del rifugiato.
Lasciamo a questo punto la storia, se pur sommaria della migrazione, e con la "figura" del rifugiato caliamoci nella nostra realtà odierna. Dall’Africa stanno giungendo sulle nostre coste migliaia di uomini, donne e bambini.
Dalla Siria si stanno muovendo intere popolazioni per scampare a quella fratricida guerra di potere e di supremazia del territorio. Mentre nei secoli precedenti, il territorio mondiale in massima parte era ancora da sviluppare economicamente, organizzare socialmente, vivere come stato di diritto e di doveri, oggi tutto questo è molto ridotto, quasi scomparso e l’accettazione della migrazione si fa sempre più selettiva, e sempre più respingente.
Già a partire dagli anni Duemila si manifestano le prime evidenti criticità legate alla sempre più sfavorevole congiuntura economica. Il problema di inserimento si è fatto difficile, poiché la nostra economia è concentrata fondamentalmente sull’industria e questa richiede poca manodopera e altamente specializzata; specializzazione che il "profugo" non possiede. Occorrono poi, oltre a un dignitoso mantenimento e alloggio, adeguati corsi di apprendimento, di conoscenza della lingua, corsi di apprendistato per garantire loro lavoro stabile e redditizio. Questo richiede grossi investimenti che purtroppo a cascata incidono significativamente sulle tasse e sul taglio di servizi per chi è autoctono.
Il problema si fa difficile, pesante, faticoso per il popolo ospitante che valuta anche, oltre a questo, la criticità per la sua sicurezza. Ecco che aleggia, per fermare questa integrazione ed accoglienza, sempre più alta la parola "razzismo", bruttissima nel suo vero significato che emana dalla discriminazione e differenziazione delle razze. Indica teorie e comportamenti formati sull’idea che ci siano razze superiori ed inferiori e che le prime abbiano il diritto di dominare sulle altre.
«Una razza è l’insieme di individui che appartengono a una specie e si distinguono da altri gruppi della stessa specie per uno o più caratteri costanti».
La storia ci dimostra che gli uomini potevano essere perseguitati per motivi religiosi, politici, sociali, culturali, ma non lo sono mai stati per motivi «biologici», anzi, in special modo fin dal mondo antico, dai greci e dai romani, gli uomini differenti per colore della pelle e per fattezze fisiche erano considerati superiori poiché più robusti.
Il disprezzo che si aveva era soprattutto per la loro arretratezza culturale e sociale.
Un breve cenno storico. «Il disprezzo biologico si affermò nella sua interezza nel ’700, è allora che si formò una vera e propria ideologia razzista. Questa partiva dalla differenza di carattere biologico ereditario e ne derivava una inferiorità intellettuale e morale, oltre che genetica».
Nel 1800 si passa a interpretare la storia come una competizione tra razze forti e razze deboli. La decadenza delle grandi civiltà venne spiegata con l’incrocio delle razze che avrebbe impoverito le purezze del sangue.
Queste tesi furono adottate dal nazismo che mirò all’eliminazione fisica delle "razze inferiori" in special modo ebrei, slavi e zingari. Nella realtà storica però tutto questo non vuol dire che il nazismo credesse nel valore «scientifico» di queste tesi, ma gli tornava utile per sconvolgere l’assetto del mondo. Sappiamo come è andata a finire: la pazzia egemone del nazismo fu sconfitta con milioni di morti. Se tutto questo, in sintesi, è la storia del razzismo, vi è ancora più alto un aspetto ed un significato più angoscioso: la negazione della dignità della persona umana. «Oggi il migrante irregolare ci si presenta come quel «forestiero» nel quale Gesù chiede di essere riconosciuto. Accoglierlo ed essere solidali con lui è dovere di ospitalità e fedeltà alla propria identità di cristiani» (Giovanni Paolo II).

Seguici su Twitter

I cookie rendono più facile per noi fornirti i nostri servizi. Con l'utilizzo dei nostri servizi ci autorizzi a utilizzare i cookie.
Maggiori informazioni Ok Rifiuta