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SAN ROMANO - Un lavoro dignitoso e appassionante, un ambiente lavorativo rispettoso delle esigenze personali e famigliari: non stiamo parlando del libro dei sogni, ma di situazioni concrete che un’inchiesta giornalistica di TV 2000 ha scovato in giro per l’Italia. Ed è di queste storie di cui si è parlato e che abbiamo visto nel convegno svoltosi nella sala conferenze della Cuoiodepur a San Romano, il 29 maggio scorso, organizzato dalla Diocesi di San Miniato in collaborazione con l’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti dal titolo «Il lavoro che vogliamo. Buone pratiche imprenditoriali».

Presente l’avvocato Riccardo Bastianelli, presidente dell’Ucid di San Miniato, Michele Matteoli, presidente dei conciatori di PonteaEgola e presidente della Cuoiodepur, ma anche altri industriali e naturalmente monsignor Andrea Migliavacca, vescovo di San Miniato.
«Ci sono aziende che sono riuscite a coniugare l’etica e il profitto - ha spiegato il presidente dell’Ucid nella sua presentazione - e in questo documentario vedremo esempi in cui si è provato a salvare il lavoro dei giovani e degli over 50». Abbiamo ascoltato capitani d’industria speciali che hanno espresso concetti speciali e fuori dal coro imprenditoriale odierno. C’era chi per esempio dichiarava di preferire un dipendente che abbia vissuto e che abbia un curriculum pieno di cose come i viaggi, lo studio di uno strumento o altre esperienze simili, insomma una persona con una vita piena, anche se si è laureato con un voto inferiore a 110 e lode. Un imprenditore di Calenzano, Marco Bartoletti ha dichiarato: «Non siamo santi, ma assumiamo anche persone in difficoltà, perché se pensiamo che il mondo sia mandato avanti solo da chi è sano forte e perfetto, il mondo è finito». E che dire di Enzo Rossi, imprenditore marchigiano, che dopo aver provato a vivere con i soldi con cui vivevano i suoi dipendenti e non essendoci riuscito, ha aumentato spontaneamente la busta paga dei suoi collaboratori? «Il lavoro giusto - ha dichiarato - può fare miracoli per le persone, io ritengo di essere un imprenditore, altri viceversa sono prenditori».
Un datore di lavoro ha usato una metafora interessante: «Se vuoi prendere il miele, non tirare calci all’alveare. Il profitto è importante, ma se non si rinveste, le aziende muoiono. Alla nostra famiglia non mancava niente e quindi abbiamo investito ciò che abbiamo guadagnato nell’impresa». Un altro datore di lavoro ha ricordato una raccomandazione che il nonno gli faceva: «Abbi cura di chi lavora per te». In molte aziende descritte nel documentario gli imprenditori avevano creato asili aziendali o dato garanzie per un mutuo del proprio dipendente. Queste storie vere sono state di forte impatto per gli industriali presenti, che siamo sicuri rispettino scrupolosamente il contratto di lavoro, ma la proposta insita in queste esperienze va ben oltre un contratto sindacale. Fra i presenti, un dirigente di una struttura pubblica ha espresso un concetto importante: «Se le persone riuscissero a fare il lavoro che amano e che le appassionano, si ammalerebbero meno e ci sarebbe meno assenteismo».
Quando il Vescovo Migliavacca ha preso la parola ha espresso con dolcezza, ma con fermezza concetti molto importanti. Ha parlato della responsabilità di costruire una città a dimensione umana che siamo chiamati ad edificare nel rispetto della dignità di tutti, con un superamento della gestione padronale del potere. «Dobbiamo ricercare - ha dichiarato il Vescovo - una modalità di lavoro partecipato, in modo che ognuno porti il suo valore - ed ha chiesto - i ritmi di lavoro rispettano i ritmi umani e famigliari?». Mons. Migliavacca ha ricordato le pastorali sociali di alcuni Papi e le parole di papa Francesco sull’etica del lavoro. Infine ha raccontato che in tempi passati, nella piccola azienda del suo nonno, quando una lavoratrice rimaneva incinta, veniva festeggiata e non licenziata come a volte succede oggi.
Gli imprenditori presenti avranno qualcosa su cui riflettere, in fondo il nostro Vescovo insieme all’Ucid è come se avesse detto loro: «Capisco le vostre difficoltà, ma vedete si può lavorare anche così».
Adriano Olivetti, grande imprenditore italiano ha scritto: «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare».