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DALLA DIOCESI  - Il 21 marzo ricorreva la Giornata Internazionale della Sindrome di Down, l’anomalia cromosomica più diffusa nella popolazione mondiale, con un’incidenza di circa 1 bambino su 1000 nati vivi. La sindrome provoca un ritardo cognitivo e un livello di disabilità molto variabili, oltre a una conformazione caratteristica dei lineamenti del viso. La sua causa fu scoperta nel 1958 dal genetista francese Jérôme Lejeune, grande figura di scienziato e di credente, per il quale è stata introdotta la causa di beatificazione, che individuò la presenza di una terza copia del cromosoma 21 nelle persone affette da questa sindrome.

La trisomia 21 oggi può essere diagnosticata con uno screening durante la gravidanza, possibilità che ha aperto la strada al cosiddetto aborto terapeutico, applicato in maniera sistematica.
Si stima che il 97% dei bambini concepiti con sindrome di Down non veda mai la luce.
In Italia, non esistono dati ufficiali sull’aborto dei bambini Down, visto che la relazione annuale del Ministero della Giustizia sull’applicazione della legge 194 non specifica i motivi del ricorso all’interruzione della gravidanza. C’è però uno studio statistico elaborato dal prof. Benedetto Rocchi dell’Università di Firenze sui dati demografici relativi al 2009, che stima per quell’anno in Italia un numero di bambini abortiti perché era stata loro diagnosticata la sindrome di Down compreso fra 799 e 1309. Con ogni probabilità il numero è superiore a 1100.
L’evidente contraddizione tra la celebrazione di una giornata dedicata alle persone con Sindrome di Down e la campagna volta a eliminarne il maggior numero mediante aborto terapeutico è all’origine del fatto che di questa ricorrenza si sia parlato ben poco. Riflettere sulla dignità e sui diritti delle persone portatrici di “Trisomia 21” condurrebbe inevitabilmente a chiederci se sia giusto considerare un errore averle fatte nascere. E ancora se sia giusto accontentarsi di eliminare il paziente, piuttosto che cercare una cura per il suo male.
Il prof. Lejeune, dopo aver scoperto la causa della sindrome di Down, dedicò la sua vita alla ricerca di una terapia. Nel 1994, durante il suo funerale, prese la parola un ragazzo Down, di nome Bruno, che in una cattedrale affollata pronunciò queste parole: ‘Grazie, mio caro professor Lejeune, di quello che hai fatto per mio padre e per mia madre. Grazie a te, sono fiero di me!”. Era a partire dall’esame dei cromosomi di Bruno che, trentacinque anni prima, Lejeune aveva scoperto la trisomia 21.