EDITORIALE - Sorrido con amarezza alla verità delle parole di un Pier Paolo Pasolini: «i credenti aspettano il ritorno di Cristo, come si aspetta un autobus alla fermata». Frase specchio dell’apostasia in atto nel vecchio continente, dove anche i tribunali s’incartano in un diritto edificato su una temeraria antropologia, costruita senza Dio e senza Cristo. Dimenticare Dio conduce però, presto o tardi, ad abbandonare anche l’uomo. Connie Yates, la madre di Charlie, che rinnova lo strazio senza tempo di Maria sotto la croce, ha - come la Madonna - il cuore trafitto da una spada; una spada che nessuna corte di giustizia e nessun tribunale ha titolo e diritto ad impugnare e affondare.


Scriveva Giovanni Paolo II nella «Ecclesia in Europa» del 2003 (documento quanto mai attuale), che «dalla concezione biblica dell’uomo, l’Europa ha elaborato norme di diritto e ha promosso la dignità della persona, fonte di tutti i diritti inalienabili». Come abbiamo fatto dunque a ridurci così, dilapidando l’immensa eredità spirituale consegnataci dalla storia e dando spazio a pericolose sbavature etiche? I fatti sono noti: da almeno due secoli il nostro "luminoso" e "definitivo" Occidente è orfano di una patria potestà spirituale e - potremmo dire - anche ideale. Ci siamo via via aggrappati al razionalismo illuminista e al radicalismo giacobino, allo scientismo positivista e alla dittatura etica dei totalitarismi, fino a raggiungere i lidi dell’edonismo più sfrenato a livello pratico e del relativismo più refrattario a livello gnoseologico. Insomma non ci siamo fatti mancare niente. Solo che adesso questo allegro e confuso giro di giostra sembra non abbia più niente da offrire, e ci consegna, proprio nei nostri anni, ad un nichilismo cinico e crudele, che stava sotto la maschera di tutti gli "ismi" che l’hanno preceduto. Insomma, il re è nudo, e per ritornare a Charlie Gard, la sua vicenda «semplicemente dimostra - come ha giustamente scritto il direttore di questa testata - che non esiste un’etica laica. Le leggi morali, private del loro fondamento trascendente, finiscono per asservirsi al principio di utilità», con buona pace di tutti gli ammiratori di una pur nobile tradizione stoica o di un encomiabile Marco Aurelio che, di fronte al non senso del vivere e all’impossibilità di postulare un approdo ultraterreno, continuava a insistere sul dovere e la necessità di comportarsi rettamente e secondo giustizia. Ritorna qui, in tutto il suo candore, il pensiero disarmante di Dostoevskij: «se Dio non esiste, tutto è permesso». Perché mai dovrei rinunciare alle mie prerogative di edonismo e utilitarismo, alle mie voglie e ai miei capricci, se non mi toccherà mai di confrontarmi con un Bene maggiore e assoluto?
Un po’ di anni fa nelle pastorali si parlava molto di «fede adulta» e si auspicava, a ragion veduta, che il popolo di Dio facesse un salto di qualità nella consapevolezza della propria fede. Ho il sospetto però che, per aver cercato di diventare troppo adulti, alla fine ci siamo ritrovati vecchi e decrepiti proprio nella fede, con un’evidente incapacità a sperare. Non vorrei generalizzare grossolanamente, ma pensiamo anche solo un attimo alla nostra incapacità, quando non riluttanza, a chiedere in preghiera una guarigione totale e definitiva per Charlie, cosa ben diversa del limitarsi a sottoscrivere una semplice e innocua petizione. Chi ha fatto te senza di te, perché non può anche guarire te senza di te? Artefice delle leggi che governano la materia, Dio può in ogni istante, liberamente e creativamente, uscire dalle regole del gioco sovvertendo quelle stesse leggi. Il punto è, appunto, se noi oggi, educati e raffinati cristiani del XXI secolo, ci crediamo ancora, crediamo cioè che ciò possa accadere, anche adesso, in quel lettino d’ospedale di Londra. Ammoniva don Divo Barsotti che «noi non crediamo, per questo non chiediamo. Ma offendiamo Dio quando non chiediamo i miracoli», e continuiamo ad offenderlo se chiediamo qualcosa di meno della creazione stessa. Così il "mistico" della nostra diocesi, che continuava spiegando come Dio, dandoci se stesso macellato in croce e risorto, ci ha dato anche il riferimento e la misura di quanto domandare. Insomma proprio a voler essere credenti realisti, dovremmo chiedere l’impossibile. D’altronde le parole di Gesù, da questo punto di vista, sono inequivocabili e non prestano il fianco a fraintendimenti: «Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato» (Mc 11, 24).
(continua)

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