EDITORIALE - L’ultimo numero del nostro settimanale prima della pausa estiva ha ottenuto una certa risonanza, anche a livello nazionale, grazie alla lettera di don Angiolo Falchi riguardante la cura pastorale dei divorziati, la cui situazione veniva provocatoriamente definita come una nuova forma di vocazione nella Chiesa. Per una precisazione sull’uso corretto del termine “vocazione” in teologia rimando alla lettera di risposta di don Marco Billeri. Quello che vorrei sottolineare qui è il dispiacere per la strumentalizzazione di cui è stata fatta oggetto la lettera di don Falchi,

il quale in buona fede intendeva attirare l’attenzione su un problema pastorale reale, quello dei fedeli che soffrono per la ferita del loro matrimonio fallito. Ma da chi è venuta questa strumentalizzazione? Per quanto scandaloso possa sembrare, ci sono alcuni cattolici convinti che, specialmente dopo l’elezione di papa Francesco, l’eresia si stia diffondendo nella Chiesa con la connivenza di gran parte dell’episcopato, dei principali mezzi di comunicazione ecclesiali e dello stesso Santo Padre. I sostenitori di questa tesi ne cercano continuamente conferma in notizie utili a evocare uno sfaldamento della dottrina e il profilarsi di una “nuova Chiesa” che vorrebbe mettere in soffitta il Magistero tradizionale. Verrebbe da chiedersi da dove costoro traggano tanta sicurezza, visto che di fatto negano l’assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa, nell’affermare che la dottrina giusta sia quella “tradizionale” e non quella “moderna”. Fermo restando che questa dicotomia tra vecchia e nuova dottrina è del tutto immaginaria.
In un editoriale intitolato “Se anche il divorzio diventa una vocazione”, apparso sul giornale online La Nuova Bussola Quotidiana, il suo direttore Riccardo Cascioli, che per altro apprezzavo e seguivo quando si occupava di cambiamenti climatici e di bugie ambientaliste, prende spunto dalla lettera di don Falchi per rilanciare la tesi dell’eresia galoppante affastellando una serie di notizie che poco hanno a che fare con la riflessione pubblicata su La Domenica.
Lo scritto di don Falchi era mosso da una conoscenza diretta dei problemi, anche spirituali, delle persone in carne e ossa, e da una carità pastorale che, conviene ricordarlo, lo ha portato ad assistere per anni gli immigrati italiani in Inghilterra, quando Cascioli si occupava lodevolmente dello scioglimento dei ghiacciai.
Allargando lo sguardo all’obiettivo ultimo della polemica, cioè a papa Francesco, viene da pensare che con i suoi gesti, le sue parole e i suoi stessi documenti ufficiali, l’attuale Pontefice stia preparando il terreno per una necessaria precisazione dello spazio entro il quale il discorso teologico potrà muoversi mantenendosi fedele al Vangelo, come è già successo tante volte nella storia della Chiesa. E magari, grazie al Santo Padre, un giorno riusciremo a parlare di questioni pastorali senza scannarci a vicenda, con un linguaggio che armonizzi entro i confini di un cattolicissimo “et…et” la verità e la misericordia.

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