EDITORIALE - Di novembre il camposanto sa di ‘sidol’.
Di sera quando annotta pare un transatlantico col gran pavese per un galà di bordo. C’è un luccichìo di ottoni, marmi, smalti, vernici fresche sulle croci, sui cancelletti, sui barattoli di latta dove occhieggiano i lumini di cera che da ragazzi, finita la festa, andavamo a rubare per fare pupazzi e proiettili per le nostre battaglie infantili.
Di novembre nel camposanto entrano anche quelli che quando ci passano davanti si toccano. Una volta all’anno costoro vanno in quel paese di inerti, gironzolano fra le tombe con aria svagata e poi se ne ritornano nel mondo dei vivi appagati e contenti di aver reso omaggio ai Morti e di aver incontrato fra i vivi un amico di scuola arrivato lì chissà da dove, oppure la vecchia fiamma del liceo ormai diventata madre o nonna.
E loro, i Morti?
A novembre debbono avere pazienza e sopportare le chiacchiere dei vivi, il tramestìo sulle tombe, i rosari e i pettegolezzi delle pie donne. Perché a novembre i Morti diventano di colpo importanti. Poi basta, se ne parlerà un altro anno.
La nostra società cerca di dimenticare la Morte, ma anche i Morti e il più in fretta possibile. Sicché il singolo individuo è destinato a svanire come una pianta o un animale e nessuno si ricorderà di lui, nessuno racconterà la sua vita, lo prenderà ad esempio, lo accuserà di qualcosa. Nessuno parlerà di lui ai bambini e i bambini, se qualcuno lo farà, non lo ascolteranno.
Un tempo gli uomini, anche coloro che non credevano nell’immortalità dell’anima, dovevano occuparsi di ciò che sarebbe successo dopo la loro morte, perché c’era chi li ricordava, chi continuava a giudicarli, a prenderli ad esempio. Ciascuno aveva una reputazione da salvare anche dopo la morte, un’esemplarità di cui si sentiva responsabile in vita. Anche chi non credeva nel giudizio divino sapeva che ci sarebbe stato un giudizio terreno, quindi bisognava  presentarsi puliti davanti ai giudici.
E sulle credenze troneggiavano le fotografie ingiallite dei nonni e dei bisnonni.
Oggi no. O meglio non è più così per la maggior parte degli uomini, ma continua ad essere vero per una minoranza, per una èlite.
C’è un’aristocrazia anche fra i Morti perché alcuni vengono ricordati continuamente.
Sono i grandi, i potenti, gli artisti, gli scienziati.
Le librerie sono piene di biografie: da Erode a Gorbaciov, da Marco Polo a Rita Levi Montalcini, da Alessandro il Grande a Kennedy, da Leonardo a Marconi, sicché in quest’epoca egualitaria, in cui tutti hanno gli stessi diritti, in cui i redditi sono più livellati, la disuguaglianza e il privilegio ritornano sul piano della fama.
Il mondo moderno sotto questo aspetto -dice Francesco Alberoni- ci ricorda una sola società antica, quella egiziana, quando l’immortalità era riservata ai faraoni e ai loro più illustri servitori. Per costoro e solo per costoro si costruirono monumenti funebri destinati a durare millenni”.  
In seguito anche in Egitto ci fu una democratizzazione della Morte e tutti i cittadini, anche i più umili, conquistarono il diritto a diventare mummie e all’immortalità dell’anima.
Dunque quando si parla di individualismo, di cultura del narcisismo della nostra società per indicare l’interesse eccessivo che le persone hanno per loro stesse, bisogna richiamarci alla totale indifferenza che la società ha per il singolo individuo, per cui dopo morti veniamo dimenticati totalmente.
Nella nostra asettica società l’uomo è considerato alla stregua di un pezzo di ricambio e nella divisione del lavoro è diventato sostituibile con estrema facilità.
Con il gran numero di relazioni sociali e la grande mobilità siamo sostituibili come vicini e come amici, siamo sostituibili perfino come mariti e come mogli e quando i figli sono grandi diventiamo inutili come genitori. Ammalati, creiamo problemi, da vecchi diventiamo un peso e se non ancora morti fisicamente lo siamo già socialmente.
E’ in questo humus che vegeta la cultura del narcisismo, una cultura che fa percepire la persona come rilevante “per me e subito” e non “in se stessa”.
In altre parole, il prossimo è importante come amico o congiunto solo e in quanto ci è utile.
Così ragiona la maggior parte di coloro che vanno al camposanto di novembre e basta. Se costoro rimettessero sulla credenza le immagini ingiallite dei nonni, se arrestassero per un solo minuto l’alienante quotidianità per la conquista di un’effimera ‘pole position’ e facessero una riflessione sulla caducità del nostro affannato vivere consumistico e globalizzato, allora sì onorerebbero quei Morti che dormono sotto i marmi lucidati a specchio e gli ottoni che puzzano di sidol.

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