donMarcoBilleri2016

SAN MINIATO - Come scrissi già qualche mese fa, in vista dell’ordinazione diaconale, non è semplice fare una sintesi dei pensieri e degli spostamenti che avvengono nel cuore e nella mente. Per cercare di spiegarmi, vorrei dire che è simile a quello che avviene anche a chi, con attenzione e diligenza, si incammina verso il matrimonio ed oramai è ad un mese dalle nozze. Noi uomini desideriamo ed aspiriamo alle cose celesti, alle cose eterne, però, quando siamo alle soglie del realizzarle, attraverso un nostro libero consenso, ci sentiamo battere forte il cuore ed iniziamo a tremare. Credo ci siano due ragioni per spiegarlo. La prima è la paura davanti ad un definitivo, davanti ad un totale, davanti ad un per sempre. La nostra esperienza, man mano che si va avanti nella vita, negli anni, ci mette davanti al naso, se siamo onesti, quanto siamo poveri, quanti errori abbiamo fatto, quanto non siamo stati capaci di portare in fondo dei propositi, quanto pensavamo di fare bene ed invece a giudicar dai risultati… davanti a tutta questa esperienza di povertà - la nostra povertà - facciamo difficoltà a deliberare scelte che siano definitive.

Questa è una prima paura. C’è poi un secondo fatto. Anche davanti agli errori di altri, può capitare che ci poniamo la domanda se non sia un problema insito in quello stesso stato di vita più che un errore delle singole persone. Mi spiego meglio, con un esempio. Può capitare ad un figlio che, guardando al matrimonio dei propri genitori, arrivi a dire che non conviene sposarsi, che non conviene legarsi per sempre. La prova di ragione a questa loro intuizione starebbe nell’esempio che hanno davanti agli occhi, i loro genitori. Sullo stesso piano si può far fatica a camminare sulla via del sacerdozio quando si è incontrato un prete che sapeva poco di Dio e molto di mondo… eppure la ragione, illuminata e soccorsa dalla fede, ci rende adulti quando si è capaci di separare una cosa in sé buona da chi l’ha usata male. Una corda, in sé non è né buona né cattiva. Ma io la posso usare per tirare su un amico da un pozzo (uso buono) oppure per legare qualcuno ad una sedia e saccheggiargli casa (uso cattivo). Ma è la stessa corda. Non posso dare la colpa alla corda se è stata usata male. Un bacino dato sulla guancia è di per sé una cosa buona, un gesto di affetto. Ma se io te lo do per avvicinarti e sfilarti il portafoglio, diventa una cosa cattiva. Non è il bacino in sé che è cattivo, è quello che io ne ho fatto. La stessa cosa accade nel matrimonio. Donare la propria vita a qualcun altro, volere che l’autorità civile e Dio stesso, sigilli questo desiderio, condividere tutta la vita assieme, non come due individui sotto lo stesso tetto ma come una cosa sola, è in sé buono. Eppure posso incontrare persone che hanno fatto del loro matrimonio un inferno. Per loro e per gli altri. Ma la ragione deve aiutarmi a capire che non è il matrimonio in sé che non ha senso, sono stati loro ad usarlo male. Quando capisco questo divento grande. Quando capisco questo divento libero dalla storia che posso aver subito e sono capace di fare scelte definitive e radicali, perché capisco che io la vita la voglio usare bene e questa la si usa bene quando la si dona e, al contrario degli errori che potrei aver visto, io voglio che la mia vita sia un dono speso bene! Questa analogia col matrimonio spiega anche cosa si vive alle soglie del sacerdozio. Pensando ad una scelta definitiva e totale posso avere paura, pensando ai miei errori, alle mie fragilità a quante "cantonate" ho preso nella vita. Guardando a qualche sacerdote, che ha usato male il suo ministero, potrei essere tentato a desistere, pensando che sono tutti uguali, oppure che farsi prete è come buttare via la vita, ma non è così! Un tempo si era più capaci di credere a quel proverbio che dice che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Forse oggi abbiamo bisogno di vedere più foreste per tornare a crederci! Ma non potremo mai vederle se qualcuno non si decide a piantare qualche seme. Quando si pianta un seme va messo nel conto che forse, del fresco di quell’arbusto, non ne godremo mai noi, ma chi viene dopo. Ma se io non lo pianto mai non ne godrà mai nessuno. Lo stesso vale con un figlio. Una coppia non se lo potrà godere in eterno, poi prenderà la sua strada, ma se io non lo metto mai al mondo la vita finisce. Allora capisco che devo saper osare, devo cercare di essere io il cambiamento che voglio nel mondo, devo spendere la mia vita anche se forse sarò l’unico a combattere per quella causa. Devo uscire da quell’egoismo che mi fa pensare solo a me stesso e a subito. Devo saper investire nel futuro, lasciare un mondo migliore di come l’ho trovato. Tutto questo mi fa capire che la vita prende un’altra piega quando si apre agli altri e al domani. La vita così si assapora, perché ha un senso, non è sciatta, ed è capace di attirare anche altri, soprattutto giovani, il nostro futuro, perché i giovani sono sempre attratti dalla radicalità coerente. Queste e tante altre immagini mi passano davanti gli occhi. Io sono cosciente di alcuni miei limiti, altri neppure li vedo, li vedono gli altri ahimè… eppure nonostante questo la vita deve essere "piantata" finché la si ha tra le mani, sennò secca, marcisce e non è servita a niente. La vita terrena è breve, quando si è più giovani sembra non finire mai, poi pian piano si inizia a capire che non è così, prima guardandosi attorno, poi guardandosi allo specchio. La definitività e l’altro è ciò che dà un senso alla vita è ciò che la rende vera, spesa bene.

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