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PAVIA - Il centro storico di Pavia ci accoglie col suo dedalo di strade, palazzi, bei negozi che denotano un certo carattere signorile di questa bella cittadina del Nord. Mons. Migliavacca ci accoglie nel «suo» seminario, mostrandoci fin da subito le caratteristiche di cordialità e ospitalità della gente di questa terra.

Eccellenza, quali sono state le sue sensazioni al momento della nomina?
«All’annuncio della nomina a vescovo di San Miniato ho provato anzitutto sorpresa. È stata una notizia che non mi aspettavo e che mi ha colto all’improvviso, quando il cammino sembrava ormai avviato per questo anno pastorale a Pavia. Una sorpresa che ha cambiato qualche progetto nella mia vita.
Insieme alla sorpresa però c’è l

a fiducia perché sò che quando si vive un’esperienza che non nasce da una propria richiesta, ma che diventa risposta a una nuova chiamata, si è completamente affidati al Signore. Questo atteggiamento di fiducia è fondato sulla mia esperienza di vari passaggi della vita, perchè quando ho affrontato sfide nuove mi sono sempre sentito accompagnato dal Signore, trovando più di quello che mi aspettassi.
Inoltre c’è la curiosità di conoscere una realtà nuova e la sfida di farsi conoscere».

Da quello che ha potuto capire in questi pochi giorni, che cosa si aspetta dalla Diocesi di San Miniato?
«Per me i prossimi mesi rappresentano il tempo del conoscere. Per primo vorrei incontrare i preti, che saluto e benedico, soprattutto benedico il loro lavoro.
Incontrare i sacerdoti significa sentire il racconto, sia delle attività pastorali che della loro vita. Poi ci sarà l’incontro con le tutte le realtà ecclesiali della diocesi e anche la conoscenza di tutti coloro che vorranno farsi presenti.
Arrivando a San Miniato mi aspetto di conoscere anche le realtà, i percorsi, i problemi che nella condivisione e nella conoscenza potranno maturare progetti e scelte per il futuro.
E poi dovrò conoscere la Toscana: per me è una terra nuova, anche se ho avuto modo di visitarla nel corso di due route con i gruppi scout, e che ho trovato bellissima».

Può già delineare i primi obiettivi e i principi ispiratori del suo episcopato?
«Questo mi riesce difficile dirlo perché non c’è ancora una conoscenza sufficiente. Credo che per dire veri obiettivi e immaginare un progetto ci debbano essere la conoscenza e l’ascolto di chi già lavora nella realtà diocesana e nel territorio. Posso però dire alcuni ideali che mi accompagnano e che potranno ispirare un’attenzione: anzitutto l’ascolto della Parola di Dio. Mi viene in mente il cardinal Martini che, iniziando il suo ministero a Milano, invitava la diocesi a mettersi in ascolto della Parola.
Ritengo che l’aspetto contemplativo del ministero e della proposta pastorale possa illuminare le scelte e far comprendere i primi passi da fare, ma anche che la preghiera e l’ascolto della Parola devono essere un segno forte nella vita pastorale. Poi credo che sia importante, e mi appartiene per il cammino che ho fatto, l’attenzione ai giovani. Mi piacerebbe andare a scovarli, vedere dove sono, incontrarli, avere conoscenze dirette personali e vivere esperienze con loro. Poi l’attenzione agli ultimi, quelli che sono già conosciuti e quelli che a volte sono nascosti, e trovare le forme di accoglienza e di condivisione.
Poi i preti, perché ritengo che un vescovo debba conoscere i suoi preti, debba voler bene a loro e ascoltarli. Per questo chiedo loro l’iniziativa per far crescere dei legami, per sentire che camminiamo insieme. Infine, lo stare tra la gente. Non voglio essere il vescovo del palazzo ma il vescovo che sta fra la sua gente».

Lei ha trascorso gran parte della sua vita a Pavia. Cosa le mancherà della sua Chiesa di origine?
«Il mio ministero in diocesi, specialmente negli ultimi anni, mi ha dato l’opportunità di stare in mezzo ai giovani: in seminario, anzitutto, poi nell’esperienza lunga con la pastorale giovanile e anche di assistente di Azione Cattolica Giovani e poi, ancora, per tanti anni facendo l’assistente di un gruppo Scout. Questo è un dono che credo di avere vissuto qui nella diocesi di Pavia e che quindi percepisco che dovrò vivere in modo nuovo. Poi, penso anche alla mia famiglia, papà, mamma e mia sorella e altri famigliari. Certamente la distanza richiederà modi nuovi di vivere questi rapporti. Il presbiterio di Pavia, una realtà che ho sentito bella, che porto nel cuore come dono. Infine, i seminaristi, che mi hanno insegnato l’attenzione alla carità».

Ha già deciso quale sarà il suo motto episcopale?
«Sì, ho un pensiero che avremo modo di approfondire in futuro. Il motto potrebbe essere la domanda da due discepoli a Gesù: « Maestro dove abiti?». Mi sembra un’immagine bella, che si richiama anche a S. Andrea, che è il mio patrono e anche il patrono del seminario di Pavia, che dice l’atteggiamento di condurre a Gesù e della fede che è ricerca e cammino».

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