Enzo Bianchi12

SAN MINIATO BASSO - “Il rispetto dei cattolici per la Sacra Scrittura è senza limiti, esso si manifesta soprattutto con lo starne il più lontano possibile”. Una volta tanto le taglienti parole del grande Paul Claudel sono state generosamente smentite dalla folla di persone che lunedì 18 giugno ha gremito, in ogni ordine di posti, la Chiesa della Trasfigurazione di San Miniato Basso, per ascoltare Enzo Bianchi proprio sul tema “La Parola di Dio nella vita della Chiesa e del credente”.

Fratel Enzo, voce scabra e patriarcale, era già stato ospite a San Miniato nell’ottobre scorso, quando – invitato dal Vescovo Andrea - aveva inaugurato l’anno pastorale tessendo l’ordito di una densa riflessione attorno all’Evangelii Gaudium di Papa Francesco.

Bianchi ha esordito in modo stentoreo: «L’itinerario di stasera è esigente e richiede ascolto autentico e attento, perché è la vostra stessa vita di fede ad essere ingaggiata. Il nostro è un Dio che parla», e parlando sovrasta il mutismo della globalità degli idoli caricaturali e pantomimici, cui l’uomo nel suo incedere storico ha attribuito, per ingenuità o per disperazione, dignità divina e prerogative salvifiche.

È la prima pagina stessa della Bibbia che ci racconta la modalità estremamente dinamica della creazione, ossia il “come” Dio ha creato. Lo ha fatto per l’appunto parlando, emettendo suoni e articolando parole: «“Sia la luce” e la luce fu». Questo è un eccezionale specifico della rivelazione ebraico-cristiana, da cui scaturiscono a cascata tutti i paradigmi e le modalità secondo cui Dio si è fatto poi conoscere nella storia. Esiste però anche qui un punto di inizio imprescindibile: possiamo dire che la conoscenza del nostro Dio si è manifestata quando l’uomo Abramo, figlio di Terach, quattromila anni orsono in Ur dei Caldei, sentì risuonare dentro di sé una voce…, quella Voce. È qui che ha inizio la nostra storia di credenti, una storia alla cui sorgente è nuovamente collocata una parola e un parlare. Non dimentichiamo mai che prima di Abramo gli uomini hanno instancabilmente cercato, come a tentoni, una forza superiore e risolutiva, capace di spiegare gli assurdi della vita e che fosse in grado di porre un argine di senso alla morte.

Sarà ancora il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe che farà modulare vibrante e cristallino il suo accento nelle pieghe più intime del cuore di Mosè, chiedendogli di riscattare un popolo piegato e offeso dalla super potenza egiziana. È ancora una voce dunque che risuona, è ancora una parola – quella di Dio - che interviene e flette in modo irresistibile la realtà, un po’ come il fuoco flette con naturale agilità anche il metallo più resistente.

E sarà ancora una voce, alle pendici di quel monte solenne e definitivo che è il Sinai, che in dieci antiche parole condenserà il grande codice morale cui la coscienza e l’etica dell’uomo di tutti i tempi faranno riferimento perenne. Su quella montagna il popolo di Israele si trasfigura in Popolo di Dio e la parola si fa, per noi credenti, Scrittura, Bibbia. Quindi una parola che diventa realtà materiale attraverso un documento: questo accadrà ancora molte volte nella storia della salvezza, con Giosuè e con i profeti, fino alla concretezza salvifica delle parole di Gesù nel Nuovo Testamento.

Questa è stata la genesi della Bibbia, fatto di cui, come credenti siamo chiamati ad essere consapevoli: all’origine c’è sempre una parola che qualcuno traduce poi in Scrittura e documento. «La Bibbia è il libro che contiene la Parola di Dio ma non è - avverte il fondatore di Bose – direttamente Parola di Dio».

Non possiamo neppure parlare di un libro, quasi fosse un monolite, perché è un’autentica biblioteca: settantadue libri composti in tre diverse lingue (ebraico, aramaico e greco), nell’arco di un millennio e in uno spazio geografico estremamente vasto, che va dall’attuale Iraq a tutto il bacino del Mediterraneo. È uno specchio letterario che registra e accoglie anche le fragilità e i limiti dello scrivere umano: inesattezze, errori, ripetizioni, oscurità. «E se volete, anziché a una biblioteca – dice icasticamente Bianchi – assomiglia più a un cimitero a loculi, dove i morti sono quegli stessi settantadue volumi». Questo perché la Scrittura per poter tornare ad essere viva Parola di Dio, occorre ogni volta che sia "resuscitata" dall’azione dello Spirito e dalla sua interpretazione nella Chiesa. Questo per un credente cattolico è decisivo comprenderlo e saperlo, perché mette al riparo da ogni tentativo e tentazione di fondamentalismo, di letteralismo e di manomissione manipolatoria.

Tocca allora al popolo dei fedeli, cui questo documento è consegnato, rinvenire al suo interno, come in un lavoro di scavo, la vena d’oro dell’autentica e unica Parola di Dio, che non è semplicemente lettera vergata ma fatto e evento sempre attuale. Senza qualcuno che legge, medita e interpreta nella Chiesa, la Parola resta ermeticamente nascosta, resta – appunto – morta.

E fratel Enzo, ricordando certi suoi austeri e dotti professori-esegeti degli anni Settanta, lancia un monito tuttora attualissimo: «Attenti! Si può essere espertissimi di Scrittura e insieme essere perfettamente "atei"».

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