Convegno 2

SAN ROMANO - Tra gli appuntamenti che caratterizzano la ripresa del cammino pastorale ordinario dopo il periodo estivo, il Convegno catechistico diocesano è uno dei primi e dei più partecipati. Giunto alla sua 47ma edizione, quest’anno l’incontro dei catechisti ha adottato una formula nuova: non più una due giorni ma un unico pomeriggio, giovedì 13 settembre a San Romano.

Nell’introdurre i lavori, mons. Migliavacca ha ricordato che «un laboratorio dedicato alla catechesi sta attualmente lavorando e dovrebbe portare le proprie conclusioni per il mese di gennaio. Quindi - ha anticipato - anche le tappe future del Convegno catechistico potranno conoscere elementi di novità».
Relatori dell’evento di San Romano sono stati mons. Renato Marangoni, vescovo di Belluno-Feltre, e don Roberto De Nardin, suo collaboratore come direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Giovanile. Una realtà, quella della diocesi di Belluno-Feltre, che recentemente ha stretto un legame speciale con la nostra Chiesa. I giovani bellunesi, infatti, lo scorso agosto hanno compiuto il pellegrinaggio verso Roma partendo proprio da San Miniato.
Mons. Marangoni ha esordito citando una frase che papa Francesco pronunciò il 16 settembre 2016, in occasione di un corso di formazione per i nuovi vescovi: «Oggi si chiede troppo frutto da alberi che non sono stati abbastanza coltivati. Si è perso il senso dell’iniziazione, e tuttavia nelle cose veramente essenziali della vita si accede soltanto mediante l’iniziazione». Un tema, quello dell’iniziazione, che si è affacciato più volte nell’intervento di mons. Marangoni: «Il modo di credere è cambiato», non possiamo più definirci semplicemente credenti o non credenti, ha detto: «Per ciascuno di noi la vita di fede è una traiettoria complessa».
È ormai scomparso il cosiddetto catecumenato sociale, che faceva sì che in passato si arrivasse in parrocchia già cristiani, quando tutta la vita sociale era già un catecumenato. «Oggi la vita cristiana è un tirocinio - ha notato il relatore - un’iniziazione che non riguarda soltanto i ragazzi». È tramontata l’illusione che i catechismi possano bastare a risolvere il problema della comunicazione della fede, un’illusione che ha fatto sì che la catechesi diventasse il «cireneo della pastorale» e restasse l’unico reale percorso d’iniziazione alla fede, limitato ai bambini e agli adolescenti.
Don Roberto De Nardin è intervenuto per prospettare un percorso diverso, a partire dall’esperienza esemplare vissuta con i ragazzi in cammino verso Roma. I contenuti proposti ai giovani pellegrini sono stati delle domande fondamentali: Chi sono io? Cosa lascio? Da dove vengo? Per chi sono io? Gli accompagnatori non hanno dato loro delle risposte precostituite, ma hanno abitato le domande. Don Roberto ha parlato di un atteggiamento di profondo ascolto, di condivisione, dell’esperienza formativa del camminare insieme. «La vita cristiana è un cammino - ha detto - che ci implica nella misura in cui abitiamo le domande che ognuno porta con sé».
Il vescovo Marangoni ha ripreso da qui il suo intervento, richiamando l’esigenza di una fede esperienziale. Richiamando il concetto usato da mons. Franco Giulio Brambilla dell’Esodo come metafora dell’educare, ha ricordato che il lavoro educativo consiste in un continuo essere iniziati alla vita, riprendere il cammino. Per questo, ha osservato, non bastano gli incontri sistematici di catechismo: ci vogliono un ambiente e un tempo in cui la persona è chiamata a reinterpretare e ad esprimere creativamente la propria fede. «Sempre più importante è far fare ai giovani l’esperienza di un cristianesimo messo in pratica. Solo dopo viene la catechesi, per comprendere meglio il senso di quello che si è vissuto».
Mons. Marangoni si è infine soffermato sull’<+corsivob>Instrumentum laboris<+tondob> del prossimo Sinodo: «I giovani - ha detto - ci stanno offrendo parole nuove per dire il vangelo. Siamo disposti ad accogliere l’esperienza di una Chiesa dei giovani? Solo loro possono dirci un frammento di Chiesa che ancora non possediamo, che ancora non abbiamo scoperto. Siamo disposti a scoprire il volto del "Gesù dei giovani?" La Chiesa - ha ribadito - si fa con i giovani, permettendo loro un reale protagonismo e non mettendoli di fronte a un “si è sempre fatto così”».

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