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DALLA DIOCESI - Calunniate, calunniate, qualcosa resterà», recitava una vecchia frase che incitava a gettare discredito sulla religione cattolica. Passano i secoli e le cose non cambiano.
Nella bagarre sollevata dalla rimozione delle lapidi dalla facciata del comune di San Miniato, purtroppo è stata rievocata anche una delle diffamazioni più vergognose e dolorose della nostra storia locale e non solo: l’attribuzione della responsabilità della strage del Duomo all’allora vescovo di San Miniato mons. Ugo Giubbi.
Una calunnia, diffusa con astuzia a livello popolare a poche ore dall’immane tragedia del Duomo, che ancora resiste e ha stranamente un suo pubblico anche di fronte alla verità della storia e alla palese assurdità di attribuire al vescovo una volontà omicida verso il suo popolo, in connivenza con i nazisti. Va ricordato che il vescovo nel ’44 era rimasto l’unica autorità religiosa e civile presente in San Miniato, e pertanto si trovò per forza di cose a dover gestire i rapporti con il comando tedesco durante il passaggio del fronte. Non è un caso se l’accusa nei confronti di Giubbi non fu mai formalizzata, ma rimase e rimane un’ignobile diceria volta solo a denigrare la sua memoria.
DAL TERRITORIO - Con l’affidamento familiare aiuti un bambino a crescere, non occorrere essere delle persone speciali. Alla fine è molto più quello che si riceve che quello che si dà. Non avere paura di donare il tuo tempo! Mi sono detta: perché no? Ci ha mosso il desiderio di dare un aiuto concreto, personale, ad un bambino e alla sua famiglia. Abbiamo sperimentato la novità dell’esperienza di una famiglia che si apre agli altri". Questi e molti altri sono i sentimenti e i vissuti che esprimono le famiglie e le persone che stanno accogliendo circa 50 bambini in affido nel Valdarno Inferiore. Ma i bisogni sono sempre molti ed è per questo che il Centro Affidi dei comuni di San Miniato, Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d’Arno, sta cercando persone e famiglie disponibili a mettersi in gioco».
Leggi tutto...Nella sera della domenica delle Palme nel Duomo di San Miniato è stata eseguita la Via Crucis di Henri Ghéon. Ad accompagnare la recitazione degli attori della Compagnia Teatro giovani di Lucca c’era l’ensemble musicale diretto da Carlo Fermalvento. I commoventi meditazioni di Ghèon si sono alternate a brani tratti dalla tradizione musicale cristiana.
L’opera ha come protagonisti alcuni personaggi che assistono agli eventi della Passione e riflettono puntualmente su ogni tratto di quella dolorosa salita al Calvario, interpretando mirabilmente il sentimento di dolore e di amore che nascono nell’animo dell’uomo di fronte al sacrificio «dell’uomo dei dolori, che ben conosce il patire». Tra i molti volti che popolano quest’opera, uscita dall’intelligenza e dal cuore di uno dei più grandi drammaturghi cristiani del ’900, manca quello del Condannato, che, pur presente, rimane tuttavia sullo sfondo, in silenzio. Questa “presenza assente” di Cristo conferisce all’opera un grande potere suggestivo e un alto valore spirituale.
All’evento erano presenti le autorità diocesane e cittadine.
SAN MINIATO - Due pianisti di fama mondiale, Vladimir e Vovka Ashkenazy, padre e figlio, hanno inaugurato con la loro grande musica l’auditorium Carismi di piazza Bonaparte riaperto dopo quasi quindici anni: una serata di festa per la città. Un ritorno annunciato e tanto atteso quello dell’auditorium, uno spazio ritrovato, che è stato importante per trent’anni e che lo sarà ancora di più per il futuro, oggi che è stato riportato a nuovo splendore negli arredi, dotato di ascensore, sistemato nei servizi e nell’impiantistica in un anno di lavori progettati e diretti dall’ingegner Sergio Gronchi. Il dialogo tra l’auditorium, felice intuizione della Cassa di Risparmio di San Miniato agli inizi degli anni ’70 - quando con un progetto all’avanguardia per i tempi fu realizzata la grande sala e sopra furono costruiti due piani di uffici - e il territorio si era interrotto da oltre dieci anni.
Leggi tutto...DALLA DIOCESI - Il reparto di rianimazione degli ospedali è un luogo unico. Un porto, un approdo, un bivio definitivo tra la vita e la morte. Oltre le porte di quel reparto si materializzano le speranze e le paure di ogni uomo. Su quei lettini ultra tecnologici non c’è razza, non c’è religione: c’è solo un essere umano e la sua malattia, sospeso nel vuoto.
Poco fuori, nelle sale d’attesa, ci sono i familiari, gli amici che aspettano un cenno, una risposta. C’è chi sgrana il Rosario, chi rimane in silenzio, chi si abbandona alla disperazione, chi esulta per una gioia infinita.
In mezzo a questi due mondi lavorano gli infermieri del reparto, che 24 ore su 24, 365 giorni all’anno accudiscono i degenti del reparto rianimazione.
Un mestiere non facile, affidato a professionisti iperspecializzati con grande cuore (oltre che testa e fegato) che combattono quotidianamente a fianco di chi è sospeso tra la vita e la morte.
Una battaglia difficilissima, a volte impari, che mette a dura prova coloro che la combattono.
Valeria (nome di fantasia) infemiera in un reparto di rianimazione di uno degli ospedali del territorio diocesano, racconta in esclusiva a «La Domenica» la vita di un infermiere “di frontiera”.
Come è organizzato il reparto di rianimazione?
«Complessivamente siamo oltre 30 infermieri con altrettanti medici con una decina di posti letto. Le unità paziente sono delimitate da tende, ed un desk centrale con i monitor satellite».