Michele Carlo Cortigiani Visdomini Vescovo di San Miniato Pistoia Prato 2

SAN MINIATO - Chi ricorda ancora qualche semplice nozione di filosofia non avrà fatto fatica a pensare - al momento della comunicazione ufficiale del trasferimento di mons. Tardelli a Pistoia – dei famosi “corsi e ricorsi storici” di Giambattista Vico, grande filosofo italiano vissuto tra Seicento e Settecento. E’ stato lo stesso vescovo uscente a citare, nella sua commossa comunicazione ai presenti, la curiosa coincidenza storica: tra i presuli che si sono succeduti sulla cattedra samminiatese vi era stato già un caso di trasferimento analogo. Carlo Michele Visdomini Cortigiani il 31 marzo 1703 faceva infatti il suo ingresso nell’allora diocesi unificata di Pistoia e Prato, partendo proprio dall’esperienza dell’episcopato samminiatese. Un’esperienza indelebile, come ce la presente il proposto della collegiata di Castelfranco, Andrea Danti, che dedicò - ventitre anni dopo la scomparsa del Cortigiani - un voluminoso libro di 370 pagine all’illustre vescovo che da San Miniato si era diretto sulla cattedra pistoiese.

Lo abbiamo sfogliato per ripercorrere le vicende principali dell’operato del vescovo Cortigiani a San Miniato, non certo per operare confronti che sarebbero inutili, fuori luogo, imprecisi: la cornice storica vissuta dal Cortigiani nell’ultimo quarto del Seicento non è certo la stessa di quella attuale, sperimentata dal vescovo Fausto nei dieci anni di episcopato tra noi. La biografia del sacerdote Danti era stata già sommariamente utilizzata da Vasco Simoncini per gli "Appunti" sui vescovi della Diocesi ricordando che il «Gran Vescovo» Cortigiani era sta biografato calcando penna e calamaio sulle innumerevoli virtù del presule. Effettivamente del Cortigiani, nato nel 1648 a Firenze da nobile famiglia, si ricordano lo zelo infaticabile e l’operosità dei suoi venti anni di episcopato: il primato delle visite pastorali, ben sette, svolte accuratamente sul territorio; tre Sinodi; la trasformazione del Seminario vescovile con l’apertura residenziale della struttura diurna creata dal Pichi; la consacrazione solenne della Cattedrale; l’apertura di un oratorio per comodo dei carcerati nel palazzo dei Vicari; la fondazione dell’Ospedale degli infermi. Un ventennio intenso insomma, dal 1683 al 1703, a cui seguì una decade sulla cattedra di Pistoia e Prato. Paradossalmente conosciamo più del servizio svolto nella più piccola diocesi di San Miniato rispetto a quanto avvenuto a Pistoia e Prato. È certo che anche lì il suo operato si era distinto per l’attenzione ai poveri e le azioni di contrasto alla miseria. Significativamente infatti la sua prima lettera pastorale come vescovo delle città dei mercanti banchieri tra i più noti della Toscana di quel tempo, del 1704, tratta proprio delle opere di misericordia per gli indigenti. Scrisse poi nel 1705, nel 1707 e nel 1713 altre tre missive pastorali al clero e al popolo del vasto territorio diocesano; indisse anche un sinodo nel 1707 e numerosi sono gli editti che egli emise su temi particolari, rivolgendosi agli ecclesiastici e ai religiosi, ma anche mostrando una profonda cultura improntata sulla conoscenza dei dottori della Chiesa. Un contesto particolare quello trovato dal Cortigiani a Pistoia, dove in città, accanto alla miseria, si registrava un modus vivendi fuori misura delle classi dirigenti a causa dell’agiatezza economica. In una singolare lettera a’ parochi e confessori sopra il fare all’amore allegata alle costituzioni sinodali del 1707 il Cortigiani dipinge scenari familiari rovinosi «se non si correggono i figlioli, se non li allontanano dalle veglie, da’ balli, dagli amori si danneranno, se ben fossero per altro santi: perderanno l’onore con la rovina della roba: perché i figlioli scorretti dissiperanno il tutto». Un episcopato pistoiese tutto particolare quello del Cortigiani, al termine della cui vita si affacciava tra la montagna e la piana il vento del giansenismo, che proprio nel 1713 veniva bollato da papa Clemente XI con la Unigenitus Dei Filius.

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