DALLA DIOCESI - È di qualche giorno fa la notizia che la fondazione Meter, facente capo al sacerdote don Fortunato Di Noto, ha denunciato alla Polizia Postale uno dei più grandi archivi pedopornografici mai scovati sul web. Immagini e video raccapriccianti di bambini orrendamente abusati, messe a disposizione dei tanti pervertiti che si nascondono sulla rete.
«Il problema della lotta alla pedofilia e alla pedopornografia – ha dichiarato don Fortunato, fondatore e presidente di Meter – è che la gente non riesce a rendersi conto della gravità di questi abusi perché ovviamente non possiamo mostrarli. Da buon prete vorrei che la società si sollevasse. Spero che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e le alte cariche dello Stato vengano a conoscenza di questo episodio, di un bambino violato e chiuso in gabbia come un animaletto, che il Paese possa sobbalzare di indignazione».
Nonostante la gravità del fatto, questa è stata una notizia  che non ha fatto notizia.
Diffusa da poche testate nazionali, l’inchiesta di Meter paradossalmente ha provocato delle minacce allo stesso don Fortunato da parte di persone che, in preda ai pregiudizi, ritengono inopportuno che sia un prelato a occuparsi di pedofilia, inteso quasi come una contraddizione in termini. Come nel caso di una signora che su Facebook commenta: «A me non mi sembra normale che un prete debba occuparsi di pedofilia, c’è la polizia che indaga». O di un signore secondo il quale il prete siracusano «dovrebbe parlare di quello che succede tra i prelati prima di parlare di altri»; o altri commenti peggiori che lo minacciano di morte, avendolo addirittura scambiato come uno degli autori delle sevizie.
Il lavoro di don Di Noto, come quello di altri sacerdoti che lavorano in silenzio, è taciuto se non oscurato dal mondo dei media e dei social network.
Il cliché del prete pedofilo, come altre caricature che impazzano sul web, occupa lo spazio di comunicazione di tante belle realtà che tutti i giorni vengono portate avanti dalle realtà ecclesiali.
Sono realtà caritiative, di vicinanza alle famiglie, agli adolescenti e agli stessi bambini, agli anziani e ai lavoratori.
Un piccolo stato nello stato,che tutti i giorni cerca di aiutare il prossimo. A volte lavorando in frontiera, talvolta in silenzio.
Sarebbe bello quindi che attività come quella di don Fortunato emergessero con forza per ricordare che se ci sono uomini di chiesa che sbagliano, ce ne sono altri che con fatica lottano a fianco dei più deboli.

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