Micheletti

Riproponiamo per questo numero del giornale diocesano alcuni articoli usciti sulla “Domenica” nei giorni immediatamente successivi l’alluvione di novembre. Ci pare un degno modo per ricordare quei tragici momenti con le parole di chi li ha vissuti e descritti. La prossima settimana proseguiremo con le parole del vescovo di quel tempo, Felice Beccaro, e una testimonianza inedita di alcun «angeli del fango» tra Santa Croce e San Miniato.

A S. Croce sull’Arno
Rimarrà tristemente memorabile questo 4 novembre 1966, il giorno dell’ansia tremenda per l’Arno che saliva, saliva… fino in cima al muro di protezione, da cui già filtrava l’acqua come dalla strada di Lungarno Tripoli, facendo temere che da un momento all’altro travolgesse col muro, le case del centro della nostra cittadina. Sarebbe stato un disastro irreparabile! In quelle ore di grande trepidazione furono fatte ferventi preghiere dinanzi all’Immagine di Santa Cristina e il pericolo più grande fu scongiurato, ma nella notte, in seguito ad una falla prodottasi nell’argine all’altezza di S. Donato, masse di acqua limacciosa invasero tutta la pianura, portando lo sgomento in tre quarti della Parrocchia. Tante famiglie sorprese nel sonno dalla piena improvvisa fecero a tempo appena a rifugiarsi ai piani superiori e sui tetti, mentre la maggior parte del bestiame affogava e la zona industriale con due metri d’acqua subiva danni incalcolabili nei magazzini di pelli, già pronte per la spedizione, nei grandi depositi di pelli secche, di prodotti chimici, nelle concerie. In questo vero disastro di cose, meno male non ci sono state vittime umane…. E il centro abitato è rimasto all’asciutto, così è stato facile organizzare i soccorsi.
La contemporaneità dell’alluvione in tante parti d’Italia, specialmente in Toscana, Firenze, Grosseto, ha ritardato l’invio di mezzi anfibi, elicotteri fino alla domenica 6. Solo allora è stato possibile arrivare in certe zone e trasportare persone, stremate dalla paura, dalla sete e dalla fame. Sabato 5 era stata la giornata di coraggiosi interventi di giovani, che con piccoli canotti di gomma e con natanti di fortuna, ricavati con tavole legate insieme a bussoli vuoti o tronchi d’albero …. Eppure con questa specie di zattere furono tratte in salvo tante persone e fu possibile provvedere ai casi di particolare urgenza e se non altro mantenere un contatto umano con chi aveva bisogno di sentirsi aiutato. Le autorità hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità per venire incontro alla popolazione, così duramente provata. In tutta Santa Croce è nata ua gara di solidarietà e di fraternità nell’accogliere nelle proprie abitazioni i sinistrati e nel fare in modo di alleviare il più possibile il disagio di tante famiglie, rimaste con i panni in dosso.
E’ da augurarsi che questa solidarietà umana e cristiana serva a favorire la fratellanze e lo scambievole aiuto per una sollecita ripresa di Santa Croce.

“La ventesima ora di San Donato”
E’ certamente la frazione di S. Maria a Monte più completamente, disastrosamente e lungamente alluvionata del comune, e una delle più colpite in tutto il Valdarno. Scriviamo questo articolo dal primo piano della canonica di S. Donato, perché al pian terreno c’è sempre un mezzo metro d’acqua dopo cinque giorni, dacchè l’Arno travolse violentemente gli argini nella zona di Ponticelli. Già dal mattino del ferale 4 Novembre qualcuno, che sapeva, era molto preoccupato. Infatti, dalle due di notte alle sette del mattino il fiume era cresciuto paurosamente di sette metri: paurosamente e inspiegabilmente! Corse la voce che era giunta una telefonata, avvertendo chi di dovere che, in alta Valdarno erano stati costretti a scaricare nel fiume le acque di una diga che era pericolante. Con tutto questo a San Donato la popolazione era abbastanza tranquilla, anche perché, stando alle testimonianze delle persone che avevano vissuto e passata alluvioni, non c’era da temere quello che purtroppo abbiamo vissuto e che stiamo vivendo. Circa le nove e quaranta, se ben ricordo, venne a mancare la luce elettrica. Intanto, stando alle notizie alla Radio, della T.V., con animo fraterno, eravamo addolorati per le sorti di Firenze. Un po’ più tardi sapemmo state chiuse le cateratte alla confluenza dell’Usciana. A San Donato, col telefono, non si poteva più chiamate, ma soltanto rispondere alla chiamate. Alle diciotto circa venne il Preposto di S. Maria a Monte a informarsi della situazione e a invitarmi a lasciare la Parrocchia. Gli risposi naturalmente che non ci pensavo neppure, anzi che volevo celebrare alle 20.30 la Messa vespertina del primo Venerdì del mese. Ricevetti ancora una telefonata dal sindaco, il quale, anche lui, chiedeva notizie, erano le 18.30: gli risposi che avevo il transistor in mano in attesa di sentire che si diceva … A sera inoltrata del sabato 5, con gioia immensa, ci accorgemmo che l’acqua s’era fermata. Al mattino della domenica, con due parrocchiani: il Sig. Marconcini Vasco e Melai Corrado, che erano riusciti prodigiosamente a pescare una barca, con l’aiuto di due lunghe stanghe, come remi ci avventurammo verso Montecalvoli per vedere se esisteva ancora qualcuno nel mondo …. di là, e per far provviste, perché mancavamo di tutto, specialmente di acqua potabile, latte per i bambini e pane per tutti. Trovammo un sacco di gente che ci guardava trasognata come per dire: "Siete ancora vivi?"…. Danni? Incalcolabili! Il patrimonio zootecnico completamente distrutto, compresi i foraggi ammassati sulle aie e spazzati via dalla furia delle acque. Non si era ancora seminato un chicco di grano e chissà se sarà possibile ancora farlo, per cui il futuro si presenta con tinte molto nere. Qualcuno si domanderà: "Perché i Sandonatesi non sono fuggiti e non hanno messi al sicuro il loro bestiame nella giornata di venerdì 4 Novembre, quando le cose precipitavano, ma erano ancora in tempo?" Molte saranno le cause, ma personalmente penso che la causa principale sia questa: è mancata una voce competente ed autorevole a dirci la realtà nuda e cruda.
(continua)

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