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L'articolo di questa settimana è il punto di partenza per un viaggio che «La Domenica»vuol compiere nel cuore del nostro comprensorio. Una terra di cui conosciamo bene le potenzialità e le ricchezze ma di cui si conoscono meno gli aspetti problematici. Faremo un viaggio - perché proprio di questo si tratta - tra i pochi chilometri che separano le «città del cuoio», nelle quali abitano contraddizioni e tematiche complesse che stanno crescendo così come la popolazione residente. In particolare racconteremo un certo «disagio», ovvero le diverse forme della solitudine. Sì, perché alla fine tutto si può ricondurre all’isolamento indotto da una cultura che solo apparentemente moltiplica le connessioni e le opportunità di comunicazione.
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CITTA' DEL VATICANO - Il 24 e 25 settembre la Pontificia Università Urbaniana ha ospitato il congresso internazionale sul Volto Santo, il ventesimo per la precisione, e sempre luogo privilegiato per aggiornate riflessioni pluridisciplinari. Al convegno, organizzato dalla Congregazione Benedettina delle Suore Riparatrici del Volto Santo proseguendo la tradizione ispirata dal cardinale Fiorenzo Angelini, sono sempre presenti personaggi e nomi della cultura italiana, di diverse estrazioni culturali, ma tutti riuniti per riflettere attorno al tema assegnato. Quest’anno il congresso è stato illuminato dal tema giubilare della misericordia, che ha fatto da filo conduttore nelle diverse relazioni. «Misericordiae Vultus: compendio delle beatitudine e delle parabole evangeliche» il titolo proposto per questo che il cardinale Beniamino Stella ha ben definito nell’omelia domenicale: «non un congresso, ma un bagno di spiritualità».

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SAN MINIATO - Come scrissi già qualche mese fa, in vista dell’ordinazione diaconale, non è semplice fare una sintesi dei pensieri e degli spostamenti che avvengono nel cuore e nella mente. Per cercare di spiegarmi, vorrei dire che è simile a quello che avviene anche a chi, con attenzione e diligenza, si incammina verso il matrimonio ed oramai è ad un mese dalle nozze. Noi uomini desideriamo ed aspiriamo alle cose celesti, alle cose eterne, però, quando siamo alle soglie del realizzarle, attraverso un nostro libero consenso, ci sentiamo battere forte il cuore ed iniziamo a tremare. Credo ci siano due ragioni per spiegarlo. La prima è la paura davanti ad un definitivo, davanti ad un totale, davanti ad un per sempre. La nostra esperienza, man mano che si va avanti nella vita, negli anni, ci mette davanti al naso, se siamo onesti, quanto siamo poveri, quanti errori abbiamo fatto, quanto non siamo stati capaci di portare in fondo dei propositi, quanto pensavamo di fare bene ed invece a giudicar dai risultati… davanti a tutta questa esperienza di povertà - la nostra povertà - facciamo difficoltà a deliberare scelte che siano definitive.

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Le notizie apparse nei giorni scorsi su quotidiani locali e nazionali inducono a una riflessione, allarmante quanto urgente. Ancora una volta le indagini delle forze dell’ordine hanno messo in evidenza la cupidigia e la disonestà di alcune imprese – se tutto verrà confermato – che non hanno esitato a spalmare liquami provenienti da fanghi industriali spacciandoli per concimi biochimici innocui, su terreni di coltivazione. Questa volta sono coinvolti ampi territori diocesani della Valdera che sono universalmente famosi per un’unica caratteristica, riconosciuta tra l’altro dalle decine di visitatori stranieri, cioè la bellezza, un tempo incontaminata, del paesaggio collinare. 

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Il morso della crisi non si allenta. Nonostante i dispensatori di ottimismo, il lavoro manca.
Stavolta a farne le spese saranno 60 operai della Officine Ristori di Montecalvoli di S. Maria a Monte.
L’«incendio» non è più solo sul tetto della casa del vicino, ormai si è propagato anche sulla nostra. Voltarsi dall’altra parte e continuare a tagliare nastri non servirà a granchè. Iniziare a riflettere seriamente sul problema, forse si.

 

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DALLA DIOCESI - Rete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”. Questo il titolo dell’Incontro Internazionale svoltosi ad Assisi a trent’anni dalla storica preghiera interreligiosa voluta da san Giovanni Paolo II nel 1986. I leader e i fedeli di diverse religioni da ogni parte del mondo si sono incontrati di nuovo nella città di San Francesco per dialogare, confrontarsi e pregare. L’iniziativa è stata promossa dalla Diocesi di Assisi, dai Francescani e dalla Comunità di Sant’Egidio, insieme ad altri partner ecclesiali e civili.
Tanti gli argomenti trattati nelle tavole rotonde svoltesi tra il Sacro Convento di Assisi e Santa Maria degli Angeli: la dignità della vita umana, la lotta alla povertà, il rapporto tra religioni e violenza, la globalizzazione, l’ecologia, le migrazioni e l’accoglienza, l’unità dei cristiani, la collaborazione tra le religioni per la pace e molte altre tematiche di grande attualità. La preghiera è avvenuta in luoghi diversi, ognuno assegnato agli appartenenti di una specifica tradizione religiosa. Tutti, poi, si sono riuniti sulla Piazza Inferiore del Sacro Convento per la cerimonia finale, alla presenza di Papa Francesco.

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SAN MINIATO - Eccellenza, sta ripartendo l’anno pastorale, quali sfide attendono la diocesi?
«Credo che abbiamo alcuni riferimenti che ci accompagnano e sono i richiami e le indicazioni date dal Convegno ecclesiale di Firenze e, legato a questo, l’invito che il Papa ha fatto a tutta la Chiesa italiana di approfondire l’Evangelii Gaudium, con la quale il Pontefice ha indicato dei cammini per l’evangelizzazione. Credo che queste siano le sfide: comprendere il cammino che ci è indicato e capire come tradurlo nella concretezza della nostra realtà».

Lei è reduce dalla gmg di Cracovia, come è stata questa sua «prima» da vescovo tra i giovani?
«È stata un’esperienza arricchente, nuova su più versanti, proprio perché ho partecipato da vescovo. Essendo ospitato in un albergo con gli altri vescovi non ho vissuto la concretezza della vita della Gmg con i giovani che è, ad esempio, dormire per terra, con il sacco a pelo. Questo aspetto di vicinanza ai giovani un po’ mi è mancato. D’altra parte è stato bello condividere questa esperienza con i vescovi, un’occasione per me di conoscerli di più, di conoscerci a vicenda. È stato bello vedere come i vescovi che erano presenti ci tenevano molto ed erano molto contenti di essere lì con i giovani. Infine ho avuto l’opportuità di essere un vescovo che proponeva delle catechesi: ho fatto la prima a circa 250 giovani di Biella, la seconda a 300 giovani di Verona e per me è stata un’esperienza molto arricchente, anzitutto di ascolto delle testimonianze dei giovani e di dialogo con loro.

Tra pochi giorni ordinerà il suo primo sacerdote. Quali sono i suoi sentimenti ala vigilia di un appuntamento così importante per la diocesi?

«Il sentimento è quello di gratitudine di poter celebrare l’ordinazione di un nuovo prete, per me il primo. Poi don Marco per me è stato anche il primo diacono che ho ordinato e quindi diventa occasione per esprimere gratitudine al Signore insieme a don Marco e insieme a tutta la nostra chiesa per il dono della vocazione e dei preti. Poi c’è la percezione di un dono grande che ci sovrasta, che va oltre le nostra capacità umane. Quindi essere trasmissione di questo dono del Signore è davvero è un’espressione molto bella. Don Marco in questi mesi come diacono mi ha spesso accompagnato, aiutato nel ministero nelle parrocchie e abbiamo avuto modo durante l’anno di conoscerci e di apprezzare il suo servizio».

Entro Natale invierà la sua prima lettera pastorale alla chiesa di San Miniato, può anticipare a grandi linee i contenuti di questo atteso documento?
Il dettaglio è ancora da definire e da stendere con più precisione, per cui la concretezza di queste proposte la troveremo nella lettera, che deve essere ancora bene meditata. Però direi che ho davanti due fili conduttori: il primo è l’Evangelii Gaudium, accogliendo l’indicazione del Papa mi sembra che sia una traccia di cammino che dobbiamo raccogliere e tradurre come proposta pastorale per l’anno nuovo nella nostra diocesi. Una seconda attenzione richiesta alla Chiesa è la famiglia e allora anche su questo dovremo individuare un percorso concreto per tradurre questo approfondimento e accoglienza del dono della famiglia. La terza cosa: mi piacerebbe aiutarci a scoprire i doni che già abbiamo nella nostra comunità diocesana e scoprire che questi doni sono da scoprire e da vivere nella condivisione come risorsa».

Ormai a un anno dalla sua nomina, può dirci come sono stati questi primi mesi da vescovo?
«Sono stati l’avventura della scoperta: la conoscenza dei preti, l’incontro con loro prima di tutto e poi con le diverse comunità parrocchiali e l’incontro con tanti laici, associazini, movimenti che davvero mi hanno dato l’impressione di una comunità ricca e viva. Per questo dicevo che questo è uno degli aspetti su cui lavorare un po’ nell’anno nuovo. Poi è stata anche un’avventura di conoscenza di questo territorio così bello in Toscana, che aiuta ad apprezzare il dono della creazione e a sentire quanto ne siamo responsabili. Infine è stato un tempo in cui, sempre con maggiore consapevolezza, si prende coscienza della responsabilità dell’essere vescovo e quindi l’importanza di riflettere, confrontarsi, ricercare una sinodalità per compiere le scelte giuste per camminare insieme».

Nel corso dell’incontro del Santo Padre con i nuovi vescovi, Francesco si è molto soffermato sulla figura del sacerdote. Che tipo di messaggio emerge per i nostri preti e per la nostra chiesa?
«Mi ha colpito come il Papa, sia nel discorso che ci ha fatto in occasione di questo incotro con i nuovi vescovi e anche nell’assemblea di maggio, con la Cei, abbia proposto e sottolineato la sua stima per i preti in Italia per quello che fanno, per la loro presenza, per il dono della loro vita, per la testimonianza che portano e allora mi sembra di cogliere una parola di stima e di incoraggiamento per i nostri preti. Ma queste parole toccano anche il tema delle vocazioni: il Papa ci vuole dire come può essere bello vivere da presbiteri nella comunità cristiana.
Mi sembra infine che il Papa richiami vescovi e i sacerdoti a vivere autenticamente il Vangelo. Papa Francesco non ce lo dice soltanto, ma testimonia questo con la sua vita, oltre che con le parole. Una vita che ci racconta con lucidità la buona notizia. Ecco, mi sembra questo il richiamo, essere preti e vescovi che vivono nella comunità cristiana e che con i loro stile di vita, con le parole e l’accoglienza, raccontino la bellezza e l’autenticità del Vangelo».

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È già passato un anno dal 19 settembre 2015, giorno storico per la Diocesi di San Miniato, che ha visto uno dei suoi vescovi elevato all’onore degli altari: il beato Pio Alberto Del Corona.
Il 19 settembre è stato fissato come il giorno in cui si ricorda in tutta la diocesi questo santo pastore, noto alla devozione popolare come il vescovo bianco. Così San Miniato si prepara a celebrare per la prima volta la Liturgia delle Ore e la Santa Messa nella memoria del suo Beato.

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DALLA DIOCESI - Don Marco Billeri, classe 1984, sta per diventare prete. Una scelta controcorrente, rara, incomprensibile agli occhi del mondo. Eppure Marco ha deciso di dire il suo «Sì» definitivo al signore nel percorrere questo nuovo cammino di vita:
 
Don Marco, siamo a pochi giorni dall’ordinazione, quali sono le tue sensazioni?
«È difficile sintetizzare con poche parole le sensazioni. Provo a dire qualcosa. L’ordinazione presbiterale, o come diciamo comunemente diventare prete, non è qualcosa che si improvvisa. E più che un prepararsi, ci «si incammina verso». Certo la preparazione avviene, attraverso diverse fonti; il seminario, le parrocchie che si incontrano, lo studio della teologia… tuttavia, se io dicessi che per diventare prete «ci si prepara» semplicemente, potrebbe sembrare un mestiere come tanti altri. E per di più, se lo dicessi, mentirei. L’ordinazione ti rende realmente prete, ma "come" sarai prete, che «tipo» di prete sarai, quello non è legato all’ordinazione, dipende da che «tipo» di persona sei prima. Tenendo conto di questo, gli anni di preparazione diventano anche occasione di cammino. 
Cammino umano, cammino di fede e cammino di verità. Verità con se stessi prima di tutto, con chi si è, con la propria storia, e poi cammino di verità sull’esistenza, sul senso della vita. Quando si affronta questo cammino si cresce sempre, ovunque porti. Parlare di preparazione fa concludere che uno possa essere «pronto». Parlare di cammino, invece, fa concludere che uno abbia camminato. Io preferisco descrivermi con questa seconda lettura. Così non devo sentirmi «arrivato» oppure «pronto», ma posso dire, in serenità di coscienza, che «ho camminato». Allora, per tornare alla domanda iniziale, mi sento come uno che ha camminato e che ancora desidera camminare». 
 
Quali sono state le persone e gli incontri determinanti per la tua scelta?
«Sono stati diversi, ma in modo differente, cioè con un grado di incisione diverso. L’incontro che ha avuto il peso preponderante, che ha determinato l’inizio di questo cammino, è stato l’incontro con il Signore Gesù. Se non fosse partito da lì, sarebbe solo il frutto di una mia decisione, di una mia scelta. Ma non è così. Non è stata una mia scelta. Prima che Dio mi chiedesse questo, io non avevo mai pensato di fare il prete. A me piaceva l’informatica, io sono un programmatore. Ero abbastanza convinto che avrei fatto sempre questo nella mia vita. Questa chiamata è stata un fulmine a ciel sereno. All’inizio entusiasmante ma poi si è mostrata anche faticosa e totalizzante. Ma Dio è sapiente. Ed ha saputo guidarmi. Poi è stata determinante la GMG del 2002 a Toronto. Anche questa è stata un fulmine a ciel sereno, pensavo di fare una vacanza in America, invece sono rimasto fregato! Ma è stata una bella fregatura. Sono tanti poi i volti incontrati in questi anni che hanno aiutato. Ma determinante è stato solo il Signore Gesù».
 
La tua è una scelta controcorrente. Quali sono le motivazioni che ti spingono a intraprendere la vita sacerdotale?
«Come ho detto prima non si è trattato di una decisione completamente mia. Però un aspetto soggettivo c’è. Dio infatti non impone niente. E’ il maligno che impone e schiaccia. Il giogo di Dio è soave e leggero, pur restando giogo. L’aspetto soggettivo sta nella libera decisione di accettare o rifiutare l’invito che Dio ti rivolge. Io ho faticato un po’ ad accettare, c’ho messo diversi anni. Poi mi sono convinto che non combattere Dio ma seguirlo fosse la cosa migliore da farsi. Per rispondere alla tua domanda, la motivazione è Dio stesso. C’è però anche un aspetto ragionevole in tutto ciò. La vita va spesa, la vita va data, sennò ti marcisce tra le mani. Chi non si decide mai, butta via la sua vita, passano i giorni e non conclude niente. Chi vive questo percepisce ogni sera, quando va a letto, come se quel singolo giorno di vita sia stato sprecato, ha come la sensazione che se quel giorno non ci fosse stato non sarebbe cambiato niente. La mattina, poi, vive la fatica di svegliarsi, perché gli pare priva di senso la giornata alle porte. Questi sono alcuni dei sintomi di una vita che non riesce a trovare un senso. La causa di questo “male” è semplice però da individuare. Voglio essere io l’autore della mia vita, voglio essere io a costruirmi il mio futuro. Ed ecco il risultato. La verità è altrove. Io non sono autore della mia vita, la vita mi è donata. La vita è un dono che accetto da Dio, e chi questo dono me lo ha fatto, conosce anche il perché. Se mi metto in ascolto di Dio, trovo un senso alla mia esistenza e trovandolo, posso spenderla. Non si tratta, allora, di prete o marito o altro. Ognuno spende la sua vita in risposta ad un progetto più grande, che viene da qualcun Altro. Nel mio caso è il sacerdozio».
 
Quale sarà il tuo primo pensiero da prete novello?
«Te lo dirò dopo che l’avrò pensato». 
 
Progetti per il futuro?
Il futuro è nelle mani di Dio. Io non lo possiedo. Se mi mettessi a farli, rischierei di trovarmi in quella situazione che descrivevo prima, di frustrazione e di non senso, perché poi il futuro è sempre diverso da come ce lo immaginiamo. Io dispongo solo dell’adesso. Ed in questo adesso cerco di fare la volontà di Dio, con i miei limiti. Per il resto, prego il Signore che mi prepari, giorno per giorno, al momento del nostro incontro. Spero che in quel giorno possa avere tra le mani qualcosa da presentargli e per questo, devo cercare di essere fedele nell’oggi.
 
Cosa diresti a un tuo coetaneo che sente nel suo cuore la chiamata al servizio alla chiesa?
Lo abbraccerei e gli dieri di non avere paura a dire di sì a Dio. Non ci sono strade, in questa vita, che siano prive di difficoltà. Non si può decidere il futuro pensando alla via più semplice. Non c’è. Solo Dio è capace di dare la pace, la pace vera. Di farti addormentare sereno e di rialzarti quando cadi. Dio non ti promette una vita perfetta e senza errori ma se gli dirai di «sì» Egli sarà «il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari»(Es 23,22).

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CRACOVIA - Il primo giorno a Cracovia si è concluso con la Santa Messa celebrata da don Alessandro Lombardi, responsabile della pastorale giovanile di Firenze, che durante l’omelia ha incitato i giovani a chiedere al Signore, durante la GMG, la grazia di capire quello che vogliamo fare nella nostra  vita e di non avere paura delle nostre debolezze perché in esse si manifestano le nostre forze!Il secondo giorno, dopo le Lodi, il gruppo di San Miniato, capitanato da don Simone, assistente diocesano dei giovani di AC, si è recato presso la Chiesa della Santa Trinità dei padri Domenicani dove l’Azione Cattolica insieme al Vescovo di Torino e a tutti i giovani del mondo hanno accolto le spoglie di Pier Giorgio Frassati, che Papa Francesco ha indicato come esempio per i giovani, in particolare nell’Anno della Misericordia.

I nostri giovani hanno seguito il momento di preghiera guidata dal Vescovo di Torino per riflettere su questa importante figura di santità. Mons. Nosiglia ha sottolineato più volte come Pier Giorgio amava la vita con la gioia del Vangelo, invitandoci a prendere impegni concreti di responsabilità e a non vivacchiare ma vivere! 
 
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