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DALLA DIOCESI - Momenti di commozione, in tutta Italia e in molti luoghi della Toscana, per le iniziative legate alla commemorazione dell’ingresso in guerra dell’Italia, il 24 maggio del 1915. Come giornale diocesano abbiamo iniziato da tempo un percorso di riscoperta di quegli anni con tutta una serie di articoli relativi alle iniziative svoltesi nelle varie parrocchie per ricordare degnamente i morti nel conflitto e tutti quei giovani non rientrati più nelle famiglie di provenienza, soprattutto con la rubrica «i rintocchi della memoria».
Vogliamo iniziare oggi un nuovo spazio di approfondimento, che avrà cadenza mensile, nel quale ricorderemo alcune figure di sacerdoti diocesani che hanno preso parte attiva al conflitto bellico. La rubrica si chiamerà «preti soldato» e servirà a presentare la biografia di quei sacerdoti, alcuni giovanissimi che spesso non avevano terminato nemmeno gli studi in seminario, che erano stati chiamati in un contesto di guerra; loro che per vocazione sono invece chiamati da Gesù Cristo ad essere portatori di pace e di amore.


La legge sulla chiamata alle armi purtroppo non faceva sconti. E non la fece per contadini e braccianti di ogni parte d’Italia, per padri di famiglia, per i giovanissimi «ragazzi del 99» - quei coscritti agli elenchi di leva che nel 1917, appena diciottenni, furono chiamati al fronte - e nemmeno per i giovani aspiranti sacerdoti!
Pochi preti erano esclusi dalla chiamata e i risvolti psicologici, anche vocazionali, della presenza in trincea e sui campi di battaglia, ha fatto scrivere dei volumi monografici che approfondiscono il tema. Ultimo in ordine di tempo quello curato da Bruno Bignami, La chiesa in trincea. I preti nella Grande Guerra (Salerno, 2014) nel quale l’autore inquadra la questione dal punto di vista del rapporto della Chiesa con il mondo e il problema dell’uso delle armi.
Anche il clero samminiatese e coloro che erano ancora novizi, chierici, conversi o semplici seminaristi, insieme ai giovani laici, furono coinvolti nella chiamata alla armi. Anzi nel corso degli anni del conflitto i continui provvedimenti estensivi della legge sull’abilità alle armi (il Regio Decreto 1497 del 1911) fece si che tutti coloro che prima erano esclusi (per ragioni di statura, per particolari inabilità riconosciute o per altre motivazioni) fossero invece chiamati ad alimentare l’immane crogiuolo di soldati «pronti a morire».
Uno dei sacerdoti entrato nel cuore di tanti fedeli nel secolo scorso, in qualità di vescovo, mons. Felice Beccaro, prese parte al conflitto come cappellano militare assegnato alla seconda compagnia di Alessandria. Grazie alla collaborazione con l’Archivio diocesano di Aquiterme siamo riusciti a scovare un importante documento archivistico che dimostra la partecipazione alla prima Guerra Mondiale del vescovo Beccaro, allora sacerdote diocesano in provincia di Cuneo. Da lui vogliamo partire per questa rassegna storica sui preti soldato.
Felice Beccaro nacque a Grognardo, l’antico feudo dei Beccaria, il 14 gennario 1889 da Francesco e Domenica Parodi. Battezzato il giorno successivo con i nomi di Felice e Maurizio, fu invitato a entrare nel seminario diocesano dal curato del paese, don Rocco Curelli che ne aveva scorto la precoce e vivace intelligenze. Nel 1905 vestì l’abito clericale e nel 1912, all’inizio del 3° anno di teologia ricevette dal vescovo Disma Marchese l’incarico di insegnante in seminario. Ordinato sacerdote il 15 agosto del 1914, nel 1916 dovette lasciare l’insegnamento per l’improvvisa chiamata alle armi. «Da sacerdote si tramutava in semplice soldato di fanteria», così recita la biografia che la Diocesi di Aquitermeha stampato nel libro I vescovi aquesi pastori nel mondo, recentemente donato da Aquiterme alla Biblioteca del Seminario.
Quell’appellativo di prete soldato non gli verrà più tolto anche quando nel 1939 viene nominato vescovo di Nuoro, in Sardegna, dove rimane sino al 29 novembre del 1946, quando fu poi assegnato alla Diocesi di San Miniato, affidatagli dalla Santa Sede. Qui l’attività di «buon pastore» e l’attivismo per l’educazione dei giovani è rimasta nel cuore di molti. Nel 1952 - riportiamo sempre dalla biografia ufficiale - si intensifica il suo impegno a favore dell’educazione e dell’infanzia, soprattutto dopo la casuale scoperta nel 1952 dell’esistenza a Cerreto Guidi dell’A.P.I. (Associazione Pionieri d’Italia), diretta dal Partito Comunista, e volta a indottrinare i giovani fanciulli «con lezioni di ateismo, con insulse bestemmie e diaboliche calunnie contro la religione». Il vescovo Beccaro denunciò prontamente la “nuova strage degli Innocenti” che in odio alle Chiesa si stava verificando e non perse il suo spirito «combattente» anche in questa iniziativa di contrasto all’imperversante dottrina comunista. E sembra allora ancora riecheggiare quella frase, quasi un motto che sintetizza tutta la sua vita pastorale, che egli pronunciò all’ingresso in Diocesi, nella giornata burrascosa di novembre: Aquae multae non potuerunt extinguere charitatem!

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