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DALLA DIOCESI - Perchè ci si sposa? O meglio, Perchè non ci sposa? I dati disponibili in diocesi parlano chiaro: in circa 10 anni il numero dei matrimoni in chiesa è letteralmente dimezzato, tendenza indicativa di una scelta precisa da parte di tante coppie che ormai preferiscono la libera convivenza al matrimonio sacramentale ma anche al matrimonio civile.
Nell’odierna guerra dei «partiti dei diritti civili» (o megliol dei diritti patrimoniali) uno dei principali cavalli di battaglia è il riconoscimento dello «stato di fatto» in cui si trovano moltissime coppie. Uno stato, appunto, che mette al primo posto la tutela delle esigenze economiche della coppia. Si tratta quindi di rimettere nero su bianco per le coppie di fatto tutto quello che già il Codice civile prevede per i coniugi: la tutela nella successione dei beni, la reversibiltà della pensione, la salvaguardia economica del patrimonio in favore degli eventuali figli e la possibiltà di assistere il compagno in caso di malattia.


Ritornando ai dati tristissimi sul numero dei matrimoni, è davvero curioso che queste legittime tutele giuridiche del rapporto di coppia ( che vorremmo poter continuare a chiamare famiglia) siano già previste dal Legislatore italiano; anzi, il Codice si spinge più in là, enunciando anche i diritti e i doveri morali di coniugi nei loro rispettivi confronti e verso la prole. L’articolo 143 del Codice civile sancisce che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
L’articolo 144 assegna ai coniugi il compito di concordare, con pari responsabilità, l’indirizzo della vita familiare e fissare la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
Infine l’articolo 147 si occupa dei doveri verso i figli: «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni».
Questi semplici dispositivi racchiudono nella loro semplicità e nella loro laicità anche molto del significato del matrimonio sacramentale. Ma soprattutto sono enunciati di buon senso che già i Padri fondatori della Repubblica avevano incardinato anche nei principi fondamentali della Costituzione. La Carta non fu certo dettata dai Vescovi italiani o dal Santo Padre in persona, ma fu promulgata dalle forze politiche che, già nel 1948, si scontravano aspramente su molti temi. Eppure persone con sensibiltà, percorsi e storie così diverse, convennero sul fondare la giovane Repubblica italiana su due pilastri: famiglia e lavoro.
Oggi il primo di questi pilastri viene sistematicamente messo in discussione in quella che è la caratteristica principale del matrimonio: l’eliminazione dell’individualità e la formazione di un nuovo e stabile progetto di vita comune.

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