martiro di santo stefano

MONTOPOLI - La Chiesa dei Santi Giovanni Evangelista e Stefano, a Montopoli in Val d’Arno, ospita al suo interno un ciclo di affreschi di un pittore contemporaneo: Antonio Luigi Gajoni, nato a Milano nel 1889 e morto a San Miniato nel 1966.
In particolare, a partire dal 1951, egli si occupò della decorazione del soffitto, dell’abside e della Cappella del Santissimo Sacramento dando vita a scene caricate di un’estrema dolcezza e leggerezza degne di un Pierre Puvis de Chavannes, artista francese con cui Gajoni entrò senz’altro in contatto durante il suo soggiorno a Parigi (1928-1940) e dal quale seppe apprendere una maniera delicata di disporre il colore, una tendenza a creare atmosfere trasognate e sospese tra realtà e finzione.


Una testimonianza, che spiega attraverso poche parole il suo approccio alla creazione artistica, ce la offre lo studioso Gianfranco Tognarelli: «Il suo vero è un vero astratto, non oggettivo, cioè nella sua opera ci sono i concetti della pittura astratta senza che ci sia però dell’astrattismo.. Ogni cosa è riportata per la sua forma collegata al suo senso». Gajoni riesce quindi ad essere «moderno» pur facendo molta attenzione al dato reale che però viene filtrato attraverso la propria sensibilità, tutto ciò lo si può notare ad esempio nell’affresco dell’abside della Chiesa dove è rappresentato il martirio di Santo Stefano.
Nella composizione i personaggi appaiono disposti in maniera simmetrica l’uno rispetto all’altro ma ciò che colpisce è la loro leggerezza, la loro non-fisicità di cui sono testimoni i piedi del personaggio in primo piano che sta per lanciare una pietra al martire e che sembra quasi impegnato in un salto.
La figura del martire, riconoscibile dagli abiti e dall’aureola, è posta al centro, la sua posa genuflessa la carica di drammaticità poiché si sta arrendendo ai suoi aguzzini, mentre le braccia sono alzate verso il cielo e si collegano direttamente alla figura del Cristo posta alla sommità della rappresentazione e circondata da una luce di un giallo molto intenso che ha certamente un significato simbolico: rappresenta la chiamata di Santo Stefano.
Non sono soltanto il martire, gli aguzzini e la figura del Salvatore a catturare la nostra attenzione ma anche il paesaggio che arricchisce l’affresco: da notare è il fatto che Gajoni ve lo inserisce in senso strumentale, gli alberi e la vegetazione costituiscono un elemento meramente decorativo che «accompagna» la scena che quindi esisterebbe anche senza.
Un altro degli affreschi che compone la decorazione della Pieve si trova nella parte superiore del presbiterio e rappresenta San Giorgio che uccide il drago.
Si comprende immediatamente, al primo sguardo, che l’artista ha appreso le lezioni sulla tecnica dello «sfondato» di cui uno dei maggiori maestri fu il Correggio che lo applicò in senso trionfale nella cupola del Duomo di Parma, dove realizzò l’ascensione di Cristo. Gajoni ha creato un’atmosfera turbinosa, movimentata: i personaggi vengono come trainati dalla scia delle nubi che va dal basso verso l’alto e su cui è posizionato centralmente l’eroe a cavallo che con la lancia sta per uccidere il drago, ormai moribondo e quasi schiacciato dal cavallo.Gli altri Santi e gli angeli presentano pose ardite, quasi innaturali eppure non c’è niente di falso in ciò che l’artista ci racconta, nonostante quella raffigurata sia una leggenda.
La forza che emana il San Giorgio è estremamente potente, soprattutto nella decisione del gesto tramite il quale avverrà l’uccisione del terribile mostro. Una nota classica è costituita, invece, dall’inserimento di alcuni elementi architettonici, quali le colonne e i capitelli che ne fanno parte; dal Martirio alla vicenda del San Giorgio ci spostiamo da un paesaggio naturale e da un momento tragico ad un’atmosfera che eleva anche lo spettatore stesso verso l’alto e ad un evento positivo e vittorioso. Gajoni riesce ad adattare il suo stile a qualsiasi situazione, è lui che si mette al servizio dell’arte stessa, come se quest’ultima fosse una musa che guida la sua mano nelle varie realizzazioni.
All’interno della Pieve ha, inoltre, inserito anche alcune figure a sé stanti come il San Giuseppe, caratterizzato da un umiltà tangibile, con uno sguardo rassicurante e dolce si rivolge al figlio al quale sta insegnando il lavoro del falegname. È un ambiente silenzioso, i gesti sono immobili, statici e rappresenta un’inclinazione diversa rispetto alla scena del San Giorgio. Grazie al ciclo pittorico di questo grande artista contemporaneo, quindi, la Chiesa ha assunto un valore in più, una testimonianza artistica molto vicina a noi che riassume in sé una gran quantità di caratteristiche fondanti dell’arte italiana.

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