DALLA DIOCESI - Il dibattito sul diritto all’obiezione di coscienza sembra non conoscere tempo e luogo, ne sono un esempio gli ultimi avvenimenti che si sono rapidamente succeduti in questi giorni: la discussione parlamentare sulle DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento) e, indirettamente, sul ruolo del medico, il concorso al San Camillo di Roma riservato esclusivamente a medici non obiettori e l’uscita dell’ultimo film di Mel Gibson «La battaglia di Hacksaw Ridge» che narra la storia di Desmond Doss, giovane obiettore di coscienza medaglia d’onore per il suo operato durante la seconda guerra mondiale. Nonostante l’attualità della discussione l’opinione pubblica tende sempre più spesso a identificare la coscienza con il libero arbitrio, tendenza che, purtroppo, non risparmia neanche coloro che professano la fede cattolica. La Chiesa attraverso il suo magistero è invece molto chiara sul ruolo che la coscienza riveste nell’agire del credente. Come afferma san Tommaso d’Aquino la coscienza «altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce, o questa legge, Dio l’ha donata alla creazione». È nell’intimità della coscienza che conosciamo la legge naturale ossia quella legge scritta nel cuore di ogni uomo che gli permette di distinguere il bene dal male indipendentemente dalla sua estrazione sociale, religiosa o culturale.
Questo significa che la coscienza, laddove coglie un dovere da compiere (inteso sia come «dover fare» che come «dover essere»), non è mai autoreferenziale, ma è sempre obbediente a qualcosa che riconosce come superiore. I dettami della coscienza hanno quindi un’influenza diretta sull’agire pubblico del cristiano che non può relegare il suo credo alla sola sfera privata e soggettiva. A questo proposito è interessante citare la risposta che il beato card. Newman diede allo statista inglese Gladstone, il quale aveva affermato che dopo la proclamazione dell’infallibilità del Papa i cattolici non avevano più libertà di coscienza. Il cardinale nella Lettera al duca di Norfolk scrisse che se fosse «obbligato ad introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo» egli brinderebbe «prima per la coscienza, e poi per il Papa».
Il secolo appena trascorso ha visto una dura battaglia degli obiettori di coscienza (credenti e non) per poter affermare la loro scelta antimilitarista e antibellica proprio in ossequio a quel “non uccidere” che sentivano come un imperativo all’interno del loro essere e che per questo hanno spesso pagato con il carcere la loro scelta etica. Per questo motivo è singolare che davanti alle nuove frontiere che interrogano l’obiezione di coscienza (eutanasia, matrimoni omosessuali) siano spesso proprio quelle forze politiche e sociali che a partire dagli anni ’60 si sono fortemente battute per l’affermazione di questo diritto e il suo riconoscimento a livello legislativo, ne divengano ora i suoi più strenui avversari. Ne sono un esempio la recente legge sulle unioni omosessuali che non prevede l’obiezione di coscienza per il sindaco che si rifiuti celebrare l’unione tra due persone dello stesso sesso lasciando a quest’ultimo solo la possibilità di delegare un ufficiale di stato civile alla trascrizione dell’unione. Il problema però resta. Serafino Ferrino, sindaco di Favria in provincia di Torino si è rifiutato di unire civilmente una coppia di omosessuali, ma, al contempo ha rifiutato di delegare altri funzionari comunali. «Nel momento in cui delego – ha spiegato il sindaco – significa che condivido e io invece non condivido». Ed ha aggiunto: «Fermo restando che qualora il sindaco si rifiuti di celebrare, può farlo senza necessità di delega l’ufficiale di stato civile. Molti nel silenzio delegano e non parlano. Io invece non voglio delegare e voglio sapere perché, su un fatto così importante, non posso essere obiettore. Sono cattolico praticante, sono contrario alle unioni gay, ciò non ha nulla a che vedere con gli omosessuali, ma io credo che la famiglia sia fatta da un uomo e una donna per creare dei figli. Chiedo alla nazione di essere obiettore di coscienza. Perché un medico può essere obiettore e io no?».
I medici obiettori comunque non se la passano meglio. Oltre al già citato concorso al San Camillo di Roma, riservato esclusivamente a medici non obiettori, è in corso in questi ultimi anni una violenta campagna mediatica contro il personale sanitario che in virtù del diritto sancito dall’art. 9 della legge 194 del 1978 può legalmente esercitare il diritto a non essere coinvolta in pratiche abortive. Le motivazioni addotte dai media riguardano sempre l’alto numero di obiettori presenti nelle strutture pubbliche (circa l’80% del personale) che metterebbe a rischio il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, questo dato, pur vero, deve però essere messo a confronto con altri dati provenienti sempre dal ministero della sanità che indicano un considerevole diminuzione degli aborti in strutture pubbliche, il che, restando il numero di obiettori pressoché invariato, porta a un minor numero di pratiche abortive per i medici non obiettori. Anche i tempi di attesa fra rilascio della certificazione e intervento sono in diminuzione. Viene quindi da chiedersi il perché questo accanimento verso coloro che in vari settori dell’attività umana intendono professare pubblicamente la loro obiezione se comunque non impediscono l’attuazione delle leggi contro le quali rivendicano la propria obiezione. L’unica risposta è che l’obiezione di coscienza è comunque scomoda perché inevitabilmente invita comunque a riflettere sulla bontà di certe leggi e questo, in una società sempre più dominata dal pensiero unico del politicamente corretto, dà fastidio. Per questo motivo risultano straordinariamente attuali le parole del già citato card. Newman «Al tempo nostro ferve una guerra accanita, direi quasi una specie di cospirazione contro i diritti della coscienza…nel nome della coscienza si distrugge la vera coscienza».