Marco-Billeri
DALLA DIOCESI - Don Marco Billeri, classe 1984, sta per diventare prete. Una scelta controcorrente, rara, incomprensibile agli occhi del mondo. Eppure Marco ha deciso di dire il suo «Sì» definitivo al signore nel percorrere questo nuovo cammino di vita:
 
Don Marco, siamo a pochi giorni dall’ordinazione, quali sono le tue sensazioni?
«È difficile sintetizzare con poche parole le sensazioni. Provo a dire qualcosa. L’ordinazione presbiterale, o come diciamo comunemente diventare prete, non è qualcosa che si improvvisa. E più che un prepararsi, ci «si incammina verso». Certo la preparazione avviene, attraverso diverse fonti; il seminario, le parrocchie che si incontrano, lo studio della teologia… tuttavia, se io dicessi che per diventare prete «ci si prepara» semplicemente, potrebbe sembrare un mestiere come tanti altri. E per di più, se lo dicessi, mentirei. L’ordinazione ti rende realmente prete, ma "come" sarai prete, che «tipo» di prete sarai, quello non è legato all’ordinazione, dipende da che «tipo» di persona sei prima. Tenendo conto di questo, gli anni di preparazione diventano anche occasione di cammino. 
Cammino umano, cammino di fede e cammino di verità. Verità con se stessi prima di tutto, con chi si è, con la propria storia, e poi cammino di verità sull’esistenza, sul senso della vita. Quando si affronta questo cammino si cresce sempre, ovunque porti. Parlare di preparazione fa concludere che uno possa essere «pronto». Parlare di cammino, invece, fa concludere che uno abbia camminato. Io preferisco descrivermi con questa seconda lettura. Così non devo sentirmi «arrivato» oppure «pronto», ma posso dire, in serenità di coscienza, che «ho camminato». Allora, per tornare alla domanda iniziale, mi sento come uno che ha camminato e che ancora desidera camminare». 
 
Quali sono state le persone e gli incontri determinanti per la tua scelta?
«Sono stati diversi, ma in modo differente, cioè con un grado di incisione diverso. L’incontro che ha avuto il peso preponderante, che ha determinato l’inizio di questo cammino, è stato l’incontro con il Signore Gesù. Se non fosse partito da lì, sarebbe solo il frutto di una mia decisione, di una mia scelta. Ma non è così. Non è stata una mia scelta. Prima che Dio mi chiedesse questo, io non avevo mai pensato di fare il prete. A me piaceva l’informatica, io sono un programmatore. Ero abbastanza convinto che avrei fatto sempre questo nella mia vita. Questa chiamata è stata un fulmine a ciel sereno. All’inizio entusiasmante ma poi si è mostrata anche faticosa e totalizzante. Ma Dio è sapiente. Ed ha saputo guidarmi. Poi è stata determinante la GMG del 2002 a Toronto. Anche questa è stata un fulmine a ciel sereno, pensavo di fare una vacanza in America, invece sono rimasto fregato! Ma è stata una bella fregatura. Sono tanti poi i volti incontrati in questi anni che hanno aiutato. Ma determinante è stato solo il Signore Gesù».
 
La tua è una scelta controcorrente. Quali sono le motivazioni che ti spingono a intraprendere la vita sacerdotale?
«Come ho detto prima non si è trattato di una decisione completamente mia. Però un aspetto soggettivo c’è. Dio infatti non impone niente. E’ il maligno che impone e schiaccia. Il giogo di Dio è soave e leggero, pur restando giogo. L’aspetto soggettivo sta nella libera decisione di accettare o rifiutare l’invito che Dio ti rivolge. Io ho faticato un po’ ad accettare, c’ho messo diversi anni. Poi mi sono convinto che non combattere Dio ma seguirlo fosse la cosa migliore da farsi. Per rispondere alla tua domanda, la motivazione è Dio stesso. C’è però anche un aspetto ragionevole in tutto ciò. La vita va spesa, la vita va data, sennò ti marcisce tra le mani. Chi non si decide mai, butta via la sua vita, passano i giorni e non conclude niente. Chi vive questo percepisce ogni sera, quando va a letto, come se quel singolo giorno di vita sia stato sprecato, ha come la sensazione che se quel giorno non ci fosse stato non sarebbe cambiato niente. La mattina, poi, vive la fatica di svegliarsi, perché gli pare priva di senso la giornata alle porte. Questi sono alcuni dei sintomi di una vita che non riesce a trovare un senso. La causa di questo “male” è semplice però da individuare. Voglio essere io l’autore della mia vita, voglio essere io a costruirmi il mio futuro. Ed ecco il risultato. La verità è altrove. Io non sono autore della mia vita, la vita mi è donata. La vita è un dono che accetto da Dio, e chi questo dono me lo ha fatto, conosce anche il perché. Se mi metto in ascolto di Dio, trovo un senso alla mia esistenza e trovandolo, posso spenderla. Non si tratta, allora, di prete o marito o altro. Ognuno spende la sua vita in risposta ad un progetto più grande, che viene da qualcun Altro. Nel mio caso è il sacerdozio».
 
Quale sarà il tuo primo pensiero da prete novello?
«Te lo dirò dopo che l’avrò pensato». 
 
Progetti per il futuro?
Il futuro è nelle mani di Dio. Io non lo possiedo. Se mi mettessi a farli, rischierei di trovarmi in quella situazione che descrivevo prima, di frustrazione e di non senso, perché poi il futuro è sempre diverso da come ce lo immaginiamo. Io dispongo solo dell’adesso. Ed in questo adesso cerco di fare la volontà di Dio, con i miei limiti. Per il resto, prego il Signore che mi prepari, giorno per giorno, al momento del nostro incontro. Spero che in quel giorno possa avere tra le mani qualcosa da presentargli e per questo, devo cercare di essere fedele nell’oggi.
 
Cosa diresti a un tuo coetaneo che sente nel suo cuore la chiamata al servizio alla chiesa?
Lo abbraccerei e gli dieri di non avere paura a dire di sì a Dio. Non ci sono strade, in questa vita, che siano prive di difficoltà. Non si può decidere il futuro pensando alla via più semplice. Non c’è. Solo Dio è capace di dare la pace, la pace vera. Di farti addormentare sereno e di rialzarti quando cadi. Dio non ti promette una vita perfetta e senza errori ma se gli dirai di «sì» Egli sarà «il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari»(Es 23,22).

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