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SAN ROMANO - A margine dell’incontro dello scorso 17 luglio a San Romano sulla Chiesa in Turchia, mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, ci ha concesso un’intervista.

Eccellenza, due anni fa Papa Francesco l’ha nominata Vescovo e Vicario apostolico di una regione dove i cristiani non arrivano all’1% della popolazione. E’ sicuramente una bella sfida in una terra dove talvolta i cristiani sono perseguitati…

Oggi, ovunque, il Vangelo e la Chiesa vivono una forte sfida perché sono portatori di esperienze, verità, valori che risultano estranei a molta "cultura" e modi di vivere che appartengono alla "religione del consumismo", cioè ad un modo di stare al mondo impostato su criteri che non prendono sul serio l’esistenza di un dio Amore, amico degli uomini, e non accettano che la fraternità sia l’unica possibilità per avere un futuro. Prevalgono individualismo e autocentratura, che sono l’opposto della visione biblica dell’uomo e del mondo. Questo vale in Italia e anche in tante parti della Turchia: la smania dei beni da possedere, il primato delle emozioni e l’indifferenza verso chi soffre sono nemici che non hanno frontiere. Ma la Chiesa, nella sua lunga storia ha già affrontato situazioni simili e quindi non c’è da spaventarsi! La situazione delle piccole minoranze cristiane in Turchia non è certamente facile, anche per vari motivi che affondano le loro radici in una storia di relazioni travagliate - e anche violente - tra occidente e popolo turco. Tuttavia, molta parte della società turca è sensibile ai valori della famiglia, dell’amicizia, di un destino trascendente dell’uomo … per molti versi più affine al cristianesimo che non il laicismo agnostico di certe regioni dell’Europa. In ogni caso io credo non abbia molto senso fare paragoni, perché ogni epoca e ogni luogo presentano resistenze e opportunità. Personalmente, da quando abito stabilmente in Turchia, sono aiutato ad andare alla radice della mia fede e quindi non mi lamento.

Quali sono i problemi che la comunità cristiana si trova ad affrontare in queste terre così importanti per la storia del cristianesimo?

In qualunque parte del mondo, quando si è una minoranza numericamente insignificante, ci si trova in una situazione dove facilmente i propri diritti e la possibilità di esprimersi sono assai limitati. Le comunità cristiane in Turchia, inoltre, sono ancora piuttosto frammentate, sparse su un territorio immenso, con pochissimi operatori pastorali (presbiteri, suore, laici preparati …) e da tempo abbandonate dalle chiese sorelle dell’occidente. La sfida, anche in Turchia, consiste nel ripensare un cristianesimo che non sia limitato alle liturgie e alle feste; è necessaria una nuova evangelizzazione e una formazione che parta dalla Parola di Dio e aiuti a interpretare il mondo contemporaneo, con i suoi limiti e le sue possibilità. Di fatto bisogna imparare a "rendere ragione della speranza che è in noi" - come dice l’apostolo Pietro.

Il Vicariato che le e’ stato affidato comprende zone di confine con drammatiche situazioni di conflitto e di violenza. Come è oggi la situazione? Dovete gestire anche la questione dei profughi?

I rifugiati a causa di guerra, persecuzioni, fame e violenza sono un problema ovunque. La Turchia non fa eccezione e anzi, direi che, negli anni scorsi, è stata molto generosa nell’accogliere chiunque. I rifugiati cristiani hanno bisogno di pastori e io sono in cerca di presbiteri di lingua araba e di suore che si prendano cura di queste pecore disperse del popolo di Dio. Purtroppo i rifugiati cristiani non possono contare su strutture come parrocchie, luoghi di incontro ecc. perché siamo in una nazione al 99% musulmana. Come tutti i rifugiati poi sono in condizioni economiche disastrose e necessitano della solidarietà dei fratelli e sorelle che hanno qualche possibilità.

In questo contesto, quale testimonianza possono dare i cristiani?

Io credo che noi cristiani dobbiamo testimoniare soprattutto quattro cose: vivere una vita semplice, vincendo le chimere del consumismo; perdonare il nemico che è l’unico modo per spezzare la catena della violenza; lottare per la pace e per la salvaguardia della casa comune che è la terra, come ci insegna l’enciclica Laudato Si’; essere attenti ai più poveri e deboli.

Un’ultima domanda: che cosa possono fare i cristiani che vivono a San Miniato, in Italia e in altre parti del mondo a sostegno delle comunità cristiane del medio oriente?

Anzitutto conoscere la ricchissima storia di queste comunità e visitarle, con incontri mirati e non semplicemente attraverso un turismo religioso più attento alle pietre dei siti archeologici o delle chiese piuttosto che a quelle vive; sostenerle quindi con la preghiera e aiutando materialmente le Caritas impegnate nell’aiuto ai rifugiati cristiani. Anche il mio Vicariato di Anatolia ha iniziative che vanno in queste direzioni. Vi aspettiamo.

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