charlie gard news

EDITORIALE - Esiste nel cuore dell’uomo una cella sacra e inviolabile, irraggiungibile a qualsiasi pronunciamento e sentenza di tribunale. Un luogo insindacabile, dove la persona genera e custodisce il suo personale diritto a credere e sperare, e sperare anche nei miracoli.

Riconosciuto il diritto a vivere di qualsiasi essere umano, diritto che tuttavia una società sempre più tecno-burocraticamente governata sembra a più riprese mettere pericolosamente in discussione, riconosciuto questo, dicevo, duole davvero rilevare che sulla vicenda del piccolo Charlie i pronunciamenti dell’Alta Corte di Londra e della Corte europea dei diritti umani, nella loro apparente coerenza logica e nella fredda eleganza della formula giuridica, toccano per ferire a morte anche il cuore stesso del Cristianesimo, ossia le virtù teologali della Fede e della Speranza. Si tratta di un "attacco" sottile e ficcante (non riesco a intuire quanto consapevole e ideologico), che colonizza le radici stesse del nostro "pensiero credente". Asserviti a logiche di efficienza economicistica, i medici e i giudici del vecchio continente neppure vengono sfiorati dall’idea che per Charlie possa accadere il sovvertimento delle leggi di natura, attraverso quello che i vangeli chiamano "segno" o miracolo. Il giudice inglese Nicholas Francis, quello che in prima istanza ha autorizzato i medici del Great Hospital di Londra a staccare la spina, ha spiegato che la decisione «è stata presa con la più profonda tristezza nel cuore». Sentimenti di solidarietà umana certamente apprezzabili ma - e scusate l’audace parallelo - forse non molto diversi da quanto già provavano gli anziani di Sparta, quando per ogni bambino nato malato o deforme, dovevano stabilire se abbandonarlo sul monte Taigeto, perché lì soccombesse. L’impermeabile refrattarietà di questi contemporanei uomini di giustizia, mi ricorda molto lo scuotere di testa scettico (e cinico) di Pilato di fronte al Cristo: «Quid est veritas?».
Diciamocelo dunque, e senza tanti giri di parole: alle latitudini del nostro essere cristiani oggi, non si crede più ai miracoli. Avverto già i colpi di tosse imbarazzati di chi sta leggendo. E sia, ma tengo il punto: intossicati da dosi crescenti di moderno scetticismo, come cristiani faremmo bene a ricordarci che il nostro specifico è essere portatori sani di "follia", di un assurdo per eccellenza che è la resurrezione dai morti. «Se Cristo non è risorto dai morti, la nostra fede» è inutile. Ricordiamoci allora che il sipario sulla vita, per noi, non scende nel desolante pomeriggio del venerdì santo, dove l’inappellabile concretezza della morte non consente di deviare dalle leggi della materia. Per dirla con il cardinal Newman, ci siamo talmente abituati all’orizzonte di questo mondo, così allergico al soprannaturale, che non ci sfiora più l’idea che un giorno - e potrebbe essere oggi stesso o domani mattina - Cristo ritornerà sulle nubi, come ha promesso, carico di potenza e regale splendore. (continua)

Seguici su Twitter

I cookie rendono più facile per noi fornirti i nostri servizi. Con l'utilizzo dei nostri servizi ci autorizzi a utilizzare i cookie.
Maggiori informazioni Ok Rifiuta