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DALLA DIOCESI - "Quando vien giù il male come pioggia, nessuno che dica basta! Anche le grida cadono come d’estate pioggia".
Riaffiorano alla mente i desolanti versi di Bertolt Brecht, nel difficile tentativo di entrare in risonanza emotiva con i tanti giovani che anche quest’anno, con rispetto e pudore, hanno accostato la vertigine indicibile e terrifica dei campi di sterminio nazisti.
240 ragazzi del nostro territorio e un viaggio di cinque giorni che ha toccato Austria e Germania, concludendosi lunedì 7 maggio al campo di Mauthausen.

Quest’anno era parte della delegazione anche il nostro vescovo Andrea, per il quale questo "pellegrinaggio" è stata l’occasione per vivere concretamente quanto chiesto da Papa Francesco in vista del Sinodo generale "sui giovani e per i giovani" del prossimo ottobre: essere loro prossimi, ascoltarli, far sentire loro con passione che sono pensati.
Dachau, Ebensee, Herzbrunn, Gosum, Mauthausen, snocciolano la trama dei luoghi dove questi ragazzi hanno sperimentato il loro personale corpo a corpo col mistero del male e dell’iniquità.
«Una visita per fare memoria di una pagina buia della nostra storia - ha confidato il nostro presule -. È importante conoscere e ancor più importante è che i giovani sappiamo cosa è successo e a quale abominio della desolazione porta il trionfo del male e l’annientamento dell’uomo. Lo sguardo al passato poi è necessario per essere attenti al nostro presente, per riconoscere se il vento che tira ha ancora il sapore dell’ideologia e dell’intolleranza".
Monsignor Migliavacca sente di incorniciare da questi giorni due episodi carichi di bellezza e di speranza: "La cerimonia della liberazione del campo dì Mauthausen, domenica 6 maggio, con la partecipazione di tantissimi giovani da tutta Europa; e poi le tre ore di riflessione e dialogo con i ragazzi nell’ultimo giorno, lunedì 7 maggio. Ragazzi di terza media, e qualcuno delle superiori, che ci hanno parlato a cuore aperto, donandoci la loro risonanza emotiva di questo viaggio nell’abisso».
«In questi luoghi - ha continuato il nostro vescovo - andando in profondità, non possono non nascere domande radicali: dov’era Dio? Dov’era l’uomo? Qualcuno tra loro, con sorpresa, è stato capace di toccare note acutissime di teodicea affermando che è proprio in questi luoghi che Dio è risorto. Toccanti si sono poi rivelati per questi giovani i racconti dei tanti gesti di solidarietà che i deportati hanno vissuto tra loro, come ad esempio il ricordo del beato Teresio Olivelli, che fece schermo col suo corpo al pestaggio di un compagno di prigionia, riportandone ferite mortali. Sono queste le testimonianze che aiutano a rintracciare la presenza di Dio e dell’uomo anche in questo buio della storia».
Certo, occorre anche ammettere che la parola resta pur sempre fioca e inadeguata; esiste cioè anche una indicibilità riguardo a questo infame vituperio del Novecento. Eppur dobbiamo tentare di mettere un confine all’orrore, proprio narrandolo. Il male è sghembo, esprime una imperfezione intollerabile per il desiderio profondo di bellezza che sopravvive in ogni uomo.
Qualcuno ha detto che Dio non può più esistere dopo Auschwitz. Qualcun altro gli ha fatto eco che è invece proprio dopo Auschwitz che Dio deve esistere! Lo gridano le nostre viscere, e non per un senso di umana vendetta, ma per quella Giustizia che affama i giusti: "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati" (Mt 5, 6).
Sono anche questi ragazzi che con coscienza e coraggio, ogni anno rinnovano questa fame e sete di Giustizia per noi e per il mondo intero.

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