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DALLA DIOCESI - Riportiamo un breve stralcio di una bellissima riflessione di mons. Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, sul tema dell’educazione in famiglia.

«Il dono del figlio è contemporaneamente un compito per i genitori. Si apre qui il grande tema dell’educazione. Il figlio deve essere condotto responsabilmente e amorevolmente lungo l’itinerario che dall’infanzia porta alle soglie della maturità. L’educazione è il proseguimento della generazione. Il compito educativo della famiglia deve accompagnare il figlio a incontrare le cose e l’intera esistenza. Occorrerà mettere in conto anche gli insuccessi e i sacrifici. Il sacrificio è una cosa di cui noi post-moderni facciamo fatica a comprendere il valore. Eppure è molto faticoso educare ed è anche molto faticoso per i genitori di oggi chiedere rinunce, porre limiti alle richieste dei figli: temono di perdere il loro affetto. Le insicurezze e le fragilità dei genitori impediscono loro di stabilire un rapporto libero con i figli. Rendono più debole e ambigua la loro autorevolezza. Sono ricattati dal loro bisogno di ricevere affetto e riconoscimento da parte dei figli.


È giusto che i figli occupino un posto importante nella vita. Sono un bene insostituibile, ma non possono essere il senso della vita. Non sono fatti per riempire il vuoto delle nostre esistenze, per consolarci delle nostre ferite, ma perché insieme, attingendo al comune Mistero del dono della vita, realizziamo la nostra vocazione. Oggi i genitori sono in difficoltà nel condurre i figli a realizzare la loro vocazione, sono incerti sui criteri da adottare nelle difficili e complicate scelte dell’esistenza, non sanno che cosa ultimamente desiderare per sé e di conseguenza per i figli. Per questo l’attaccamento dei genitori è più di tipo narcisistico che progettuale. I figli non sono visti come nuova generazione che si affaccia alla vita, ma piuttosto come coloro che riempiono il vuoto esistenziale del genitore. Invece una genuina posizione educativa fa sì che il genitore, attraverso un rapporto affidabile, sia un testimone che la vita ha un senso e accompagni il figlio a cercarlo e a trovarlo. E lui stesso, in questo viaggio, sa riproporsi gli eterni “perché”, sa rilanciare la speranza.
«È compito di coloro che si sono assunti la responsabilità di genitori – scriveva significativamente il mio predecessore, mons. Adriano Caprioli, nella sua ultima Lettera pastorale (alla diocesi di Reggio Emilia, ndr) - di rendere ragione al figlio della promessa che essi hanno fatto mettendolo al mondo: la promessa per cui "c’è una speranza nella tua vita". Da questo punto di vista, è altamente educativo per un figlio vedere una madre e un padre che pregano assieme, che hanno un punto di riferimento più grande di loro, a cui chiedono forza e sapienza. I nostri figli non hanno bisogno di genitori perfetti, che non esistono, ma di adulti che come loro e prima di loro siano affamati di verità e bellezza, di significato e di felicità. Genitori che, pur con tanti limiti e in mezzo a tanti errori, desiderano dare la vita per qualcosa di grande. In questo senso, l’esperienza della paternità e della maternità è un grande dono innanzitutto per i genitori stessi, anche sul piano spirituale. Proprio perché è un compito che quasi supera le loro risorse, può diventare la strada per trarre fuori da se stessi la parte migliore: pensiamo alla capacità di donarsi, di uscire da sé, di sperare, di avere pazienza…; è una nuova vita non solo per il bambino, ma anche per i genitori stessi. Diventare genitori è un’esperienza che li "costringerà" ad affidarsi, a mettersi in mani più grandi».

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