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DALLA DIOCESI - I migranti non sono un pericolo, sono in pericolo”, lo ha detto Papa Francesco e noi giovani del Parlamento degli Studenti della Toscana abbiamo voluto toccare con mano cosa sta succedendo ai “confini dell’accoglienza” guardando i visi e gli occhi di quelle persone che lottano, al costo della vita, per un futuro libero e di pace. Niente di più. Siamo andati, aderendo al viaggio della Croce Viola di Sesto F.no e Anpas Toscana a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia. Sono più di 6.000 gli sfollati in quei campi a cielo aperto con delle tende montate lì al momento. Giriamo il campo e troviamo tante persone, non parlano molto al primo impatto. Nel campo scorrazzano bambini, qua e là, come se giocassero a nascondino e tra le tende ci fanno strada per portarci dove vivono, presentarci i genitori e fare qualche gioco.

Ci fermiamo ad una tenda, lì troviamo Aly, è la più piccola del campo, ha solo 12 giorni di vita. È venuta alla luce in una terra che non la riconoscerà poiché la Grecia, come l’Italia, non prevede lo ius soli, l’acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto giuridico di essere nati su un territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. La sua famiglia è curda, scappata dalla Siria a causa della difficile situazione del paese e non potrà evitarle di continuare a vivere in una situazione di estrema vulnerabilità. Aly potrebbe essere una fra i molti apolidi che ci sono anche nel nostro Paese, per esempio tra i nati dalle famiglie sfollate della ex Jugoslavia, ma il riconoscimento di questo status è segnato da una serie interminabile di procedure inaccessibili che si traducono con la mancanza di diritti e opportunità. Non ha ancora un mese di vita, ha una tutina chiara e una magliettina rosso vermiglio e sappiamo che il suo destino è quello di rimanere invisibile. Lo sapevate? Ecco. Non fermiamoci ai pregiudizi ma abbattiamoli, non chiamiamoli profughi, non chiamiamoli immigrati, chiamiamoli per nome, donne, uomini, bambini, con due gambe e due braccia proprio come “noi”. Essere lì a Idomeni ci ha fatto capire dove ha fallito veramente l’Europa. Appena arrivati al campo, su decisione del Governo di Atene, inizia lo smantellamento del campo. Il confine viene aperto. Gli sfollati vengono portati con dei bus in dei campi governativi. Migliaia di uomini, donne e bambini sono stati bloccati per mesi e trasferiti in neppure tre giorni di lavoro di sgombero. In valigia, negli zaini, nei sacchetti e sui passeggini il pesante peso di un futuro incerto. Dopo giorni di interruzione, sui binari immersi da qualche pupazzo e scarpa che qualche bambino aveva lasciato dalla fretta, transita il primo treno che collega i due stati, ma il treno non consente il trasporto di persone ma solo di merci. L’Europa economica prevale e si dimostra ancora quello che è, ferrea sulla finanza dei paesi e fiacca sulla vita, la libertà e la dignità degli esseri umani. Idomeni. Ruspe e filo spinato. E’ uno sgombero veloce cui possiamo assistere insieme alla stampa di mezzo mondo inermi e solo al rush finale. Immagini e sensazioni forti ci portano alla mente subito gli orrori dei conflitti mondiali. Abbiamo consegnato ai bambini del campo una t-shirt con su scritto “Mai più Sant’Anne”, la frase di Enrico Pieri, superstite di Sant’Anna di Stazzema, che più volte ci ha ricordato che l’Europa di oggi non è quella che avevano sognato i sopravvissuti delle montagne, dei campi e delle carceri di cui parlava Calamandrei. Ricordiamoci una cosa sola, se se c’è qualcosa che riguarda un’essere umano di un paese lontano, non c’è distanza che tenga, quella cosa riguarderà, prima o poi, anche noi, quindi basta con questo silenzio asfissiante di fronte ad una realtà preoccupante, cerchiamo di conquistare la più difficile, la più grande e anche la più bella delle responsabilità: essere umani.

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