macchi

SAN MINIATO - Ha aperto i battenti lo scorso 8 aprile, e sarà visitabile fino al 28 maggio, la mostra dal titolo “Le mura di Orfeo”, che presenta 45 opere dell’artista Luca Macchi, all’interno di un percorso espositivo, a Palazzo Grifoni, che si articola in tre sale.

Luca Macchi è nato a San Miniato, dove tutt’oggi vive e lavora e si è laureato all’Accademia delle belle arti a Firenze con una tesi sulla pittura metafisica. Ha poi cominciato ad esporre le proprie opere all’interno di diverse personali a partire dagli anni’80 ed, inoltre, si è occupato di teatro, realizzando alcune scenografie.Il richiamo alla pittura metafisica è fortemente presente in mostra e l’approccio “dechirichiano” ben si legge nei suoi dipinti che paiono collocarsi a metà fra sogno e realtà, in quel limbo nel quale ognuno di noi ha la sensazione di trovarsi al momento del risveglio, dopo che la notte ha vissuto nella propria psiche avventure incredibili e sorprendenti. Secondo il pittore, Orfeo rappresenta lo spirito dell’arte e della poesia, il tramite fra cielo e terra e quindi una sorta di appiglio per ciascuno di noi, un tramite per poter giungere alla profonda conoscenza di noi stessi. Inoltre, risulta fondamentale il collegamento fra la figura di Orfeo e quella di Cristo, concetto che viene spiegato perfettamente dal curatore della mostra Nicola Micieli: “Come Gesù discese negli inferi per risorgere nel terzo giorno alla vita eterna, Orfeo discese nell’Ade nella speranza, pur vana, di far rivedere la luce all’amata Euridice.” Macchi allora crea un rapporto fra mito e cristianità che racconta e spiega attraverso le proprie opere. Protagoniste della prima sala sono certamente le tavole “Melancolia” e “Melancolia II”, realizzate con ampio utilizzo della foglia d’oro, la quale dona alla rappresentazione preziosità e lucentezza: gli esili rami di questi alberi cercano di arrampicarsi su di uno sfondo anti-naturalistico e paiono privati della loro naturale collocazione nel mondo ma, in realtà, sono come assorbiti in un mondo ancora più concreto, che è quello della fantasia e la loro “apparizione”, in un contesto ideale fatto da toni scuri, ci rende partecipi di un miracolo, quello della possibilità concreta che il sogno possadivenire realtà.

Non c’è mai in Macchi una vena pessimistica, come potrebbe far pensare il titolo di queste due opere, bensì si può leggere una grande fiducia nel mondo e nell’uomo che si basa anche sulla rivalutazione di sentimenti che generalmente ci fanno pensare ad un qualcosa di negativo: ecco allora che quella “Melancolia” si trasforma in speranza.

Il percorso, poi, continua ed il visitatore si trova in diretto contatto con colori accesi, pennellate decise e cariche di materia che costruiscono volti e paesaggi di una verità impressionante; stupisce sempre questo binomio fra reale e immaginario che in quadri come“Gli sposi poeti II” o “Il viaggio di ognuno” è ben evidente. In quest’ultimo l’uomo che si impone al  centro della scena, dai caratteri magnificamente grecizzanti e dai lineamenti duri, raffigura l’essere  umano in generale: un uomo che sta aspettando a braccia conserte l’inizio di un nuovo “viaggio spirituale”. Qui il reale è costituito dalla specie di finestra dalla quale l’uomo si affaccia e la graziosa natura morta che giace sul davanzale, mentre il sogno è rappresentato da quei palazzi che si innalzano in maniera totalmente anti realista al di sopra del protagonista, quasi come fosse un fumetto, e quel paesaggio raffigurasse i pensieri ed i desideri dell’uomo. Altro quadro che non possiamo fare a meno di  ammirare è “Figlio, amoroso giglio”, nel quale la figura del Cristo è trattata con estrema sensibilità ed accuratezza: il volto, adagiato su un lato, nel momento della sofferenza riesce ad esprime pathos e, al contempo, dolcezza. I colori tenui arricchiscono il risultato finale che ci appare tangibile ed in colloquio con ciascuno di noi. Dal titolo si comprende, anche, quanto l’elemento naturale risulti imprescindibile, la strada da percorrere per giungere alla conoscenza è, quindi, lastricata di verità, sogno e natura, ciascun elemento sarebbe insignificante in assenza dell’altro.

Il discorso dell’artista giunge a suo compimento, infine, nella sala del caminetto dove forme umane, elementi paesaggistici e decorati vi trovano il loro significato nelle grandi figure dei quattro elementi per eccellenza: terra, cielo, fuoco e acqua che sono realizzati con sembianze umane su dei grandi cartoni sagomati, scelta che conferisce monumentalità non solo alle figure in quanto tali ma al messaggio che portano. Ciò che si percepisce è una speranza, forte, vivida del pittore di un possibile e auspicabile ricongiungimento fra uomo e natura, affinché l’uno posso vivere nell’altro e in funzione dell’altro.

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