RIFLESSIONE - Siamo al Natale! Natalis Domini!
Il nostro correre quotidiano in questi giorni ormai è inserito in giochi di luci, in coreografie di paesaggi innevati, di abeti adornati da mille oggetti lucenti, di angoli caratteristici, in cui compaiono ad arte personaggi storici, ed infine di rappresentazioni bibliche.
È il presepe il soggetto più in evidenza, in cui la grotta misera ed umile rappresenta la reggia del vero Re: il bambinello Gesù.
Ci si chiede: cosa è il presepe, tanto osannato da molti? È solo arte o rappresentazione di un evento evangelico che rivoluzionò la storia e la coscienza di popoli interi?
«L’evento nella stalla, nella grotta di roccia ha una sua dimensione di profonda intimità: è qualcosa che avviene fra la Genitrice ed il Nascituro. Nessuno dall’esterno vi ha accesso. Perfino Giuseppe rimane testimone silenzioso» scriveva Giovanni Paolo II.
Nella biografia di san Francesco d’Assisi, «Legenda Maior», che si trova nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, scritta in latino da Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell’Ordine dei Frati Minori e approvata dal capitolo generale di Pisa nel 1263 si legge: «Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l’asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il "vero" Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato».
Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio, Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell’evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
San Francesco rappresentò la grotta della Natività, come il Vangelo di Luca riporta: «Mentre Giuseppe e Maria si trovavano là, giunse per lei il tempo di partorire e diede alla luce il suo figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto all’albergo».
Le credenze, la fantasia e la creatività dei popoli col tempo modificarono questa rappresentazione biblica inserita solo nell’ambiente orientale e la composero ognuno nel proprio paesaggio, coronato da figure caratteristiche del proprio luogo. Ecco il fabbro, il falegname, il fornaio, e così via; ogni lavoro veniva riprodotto per rendere gloria alla venuta del bambino Gesù.
Si iniziò così a rappresentare il cristianesimo nella sua universalità con fede espressa nel proprio modo di vivere. Il castello di Erode, centro del potere locale, però, mai è stato omesso, per ricordare la strage degli innocenti: «Allora Erode, vistosi ingannato dai Magi, si adirò fortemente e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni, dai due anni in giù, in considerazione del tempo preciso indicatogli dai magi. Allora si adempì quanto fu detto dal profeta Geremia: una voce s’è udita in Rama, pianto e lamento copioso»». (Mt 2-16).
Mentre nella scenografia del presepe molto si è implementato e mutato, i pastori rimangono le figure più significative ed intoccabili, poiché oltre a rendere il paesaggio vivo ed animato, sono i primi a vedere il Re dei Re in fasce: «Andiamo fino a Betlemme a vedere quello che è accaduto o che il Signore ci ha fatto sapere. I pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato loro detto».
»Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
Ancora oggi, chi è stato nei luoghi della Terra Santa, in località Siyar el-Gbamam, campo dei pastori al confine con il deserto di Giuda. certamente l’ha sentita palpabile, emozionante, penetrante questa scena evangelica dell’annuzio della nascita di Gesù. Il presepe, però, non è solo arte nella sua creazione, ma è un simbolo religioso, è la rappresentazione della nascita del Salvatore, è desidero di Speranza per tutti.
Il messaggio di Speranza diviene vera aspirazione umana e quella grotta viene calata in realtà oggettive dove si auspica la concretezza del suo intervento non più umano ma divino.
Il paesaggio tradizionale con i suoi relativi personaggi viene sostituito da quello per cui si desidera un cambiamento, una certezza di aiuto, un’invocazione di innovazione e di conversione. Il presepe non è la scenografia di una favola.
Quella capanna è un dono del Buon Dio, offerto all’uomo non solo per la salvezza spirituale ma come guida per il suo cammino di vita terrena. Il presepe si trasforma, per questo suo originale messaggio, da rappresentazione artistica di un evento in simbolo concreto di Speranza. Diviene il centro delle problematiche sociali di ogni momento.
Oggi si vuol chiedere a quella capanna il lavoro, espressione primaria del giovane per la sua dignità di persona, più giustizia per tutti sempre tanto auspicata, più attenzione alla famiglia, al problema pesante e doloroso dell’immigrazione che turba le nostre coscienze, alla globalizzazione che ha reso i popoli più liberi, più vicini tra loro sul lato economico ma ancora troppo divisi per problemi etnico culturali.
Sono invocazioni sagge, basilari perché trionfi il vero valore della pace, messa in serio pericolo dall’egemonia che cova in molti cuori.
«Anche la Pace è frutto dell’amore: quella pace interiore, che l’uomo affaticato cerca nell’intimo del suo essere. Quella pace chiesta dall’umanità, dalla famiglia umana dei popoli, dalle nazioni, dai continenti, con una trepida speranza di ottenerla».
Accanto alla grotta, quindi mettiamo in visione le nostre intenzioni, le nostre aspirazioni, i nostri obiettivi che non sono solo sociali ma soprattutto spirituali.
«Il Futuro! Per quanto possa umanamente apparire gravido di minacce e di incertezze, lo deponiamo con fiducia nelle tue mani, Padre Celeste». (Giovanni Paolo II).