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MONTOPOLI - Ci soffermiamo oggi sulla particolare storia di un pievano, Pietro Mori, sul quale ci sono indagini e ricerche in corso da parte di studiosi montopolesi che intendono scriverne una completa biografia. Pietro Mori apparteneva a quella generazione di sacerdoti formatisi solidamente nella sacra scrittura e nell’oratoria frequentando le aule del Seminario vescovile sanminiatese. Amico e quasi coetaneo di Torello Pierazzi, futuro vescovo, e di Pietro Bagnoli, divenuto presto professore di "belle lettere" all’Ateneo pisano, Pietro Mori era nato l’8 dicembre 1818 da Filippo, originario di Santa Maria a Monte. A 25 divenne pievano di Montopoli, prendendo possesso della chiesa il 29 giugno 1846. Ci racconta lo storico Ignazio Donati, autore di una interessante libro "Memorie e documenti per la Storia di Montopoli" (edito nel …) che "fu accolto con aperte e sincere manifestazioni di giubilo e di gradimento della popolazione tutta prevenuta già in suo favore per essere note le buone qualità di cui era adorno, sia per dottrina, sia per virtù personali".

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CIGOLI - Dal 1980 al 1986 ci si dovette accontentare d’una copia, pur realizzata bene da Mario Del Bubba.
All’inizio era tanta la speranza di ritrovare l’originale. Poi, però, con il passare del tempo, senza segnali, era subentrata la rassegnazione.
Peccato, si diceva guardando la copia.
Io sinceramente smisi di sperare nel 1984, dopo falsi allarmi, numerose notti in bianco, viaggi lunghi.
Smisi di sperare, sopraffatto dalle tante voci. Troppe.
L’immagine è stata bruciata.
L’immagine è stata spezzata.
L’immagine è ormai oltreoceano.
Fino a quel pomeriggio inoltrato ore (19,45 circa) del 6 dicembre 1986, pieno di nebbia, quando qualcuno suona alla porta della canonica. Sono passati più di sei anni dal furto.
Apro la porta, mi trovai davanti ad un grosso pacco, sopraffatto dalla commozione, dallo stupore, ma sinceramente non ho parole per manifestare ciò che accadde nel mio animo.
Quella notte non chiusi occhio pensai, pregai, osservai quella bella immagine restituita, forse volevo essere sicuro che fosse veramente quella.

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DALLA DIOCESI - Chi ha fame sarà saziato» questo è il titolo della micro-missione di evangelizzazione che ha percorso le strade di <+nerob>San Miniato<+tondob>sabato 12 e domenica 13 novembre, affollate per la ricorrenza della mostra del tartufo.
La missione è un tempo di almeno due giorni in cui i missionari staccano dalla quotidianità per concentrarsi nell’annuncio del Vangelo come esperienza di vita vissuta da loro stessi e in cui condividono questa testimonianza alle persone per la strada e in quei luoghi dove sembra superfluo e indifferente. Un ragazzo ci racconta:« L’evangelizzazione di strada per me è qualcosa di straordinario, è un momento in cui fai contatto con il tuo passato portando alle persone che incontri la tua testimonianza di vita piena e di gioia, che ho dato sempre per scontata e ora grazie a Dio sono vivo e nel mio piccolo posso essere Suo strumento nell’ascoltare e nel gettare un piccolo seme nel cuore di tanti ragazzi che hanno bisogno veramente di amare e di essere amati e di sperimentare quell’amore vero e concreto che solo Dio può darti».

Portare la gioia
L’obiettivo è quindi portare gioia e speranza alle persone che si incontrano e dire alle persone che c’è qualcuno che le ama. Si offre loro un ascolto profondo e la possibilità di un incontro con un Dio Padre che desidera raggiungere i suoi figli e viene a cercarli là dove si trovano. Durante la missione si invitano le persone ad entrare in chiesa, scrivere una loro intenzione e fermarsi ad adorare Gesù, esposto sull’altare.
La missione è un segno di Dio anche per chi la organizza e arriva nel momento in cui ce n’è più bisogno, è una tappa del cammino personale che dà carica e aiuta a sciogliere dubbi e paure.
Una missione è strutturata in una prima parte di preparazione che si basa sulla formazione teorica e la preghiera; tutto questo è già missione e serve per entrare nell’ottica giusta, scuotersi dalla tiepidezza e da tutto ciò che ci porta ad essere fermi e ripiegati su di noi, a metterci in relazione con Dio e a ritrovarlo se ce l’eravamo un po’ persi per strada, a sperimentare prima di tutto su se stessi l’amore e la misericordia di Dio.
Questa missione è stata organizzata dai centri di San Miniato e Pistoia, realtà che ospitano i ragazzi che vivono in comunità per un periodo seguendo il percorso proposto da Nuovi Orizzonti, con l’obiettivo di coinvolgere i due centri e soprattutto di creare un clima di famiglia e di fare unità per dare inizio ad un cammino assieme.
In una missione ci sono diversi compiti: alcuni sono chiamati ad uscire per strada ad incontrare le persone; altri si fermano in chiesa ad accogliere e ad accompagnare davanti a Gesù chi entra o ad intercedere per i missionari che sono in strada; inoltre c’è chi si occupa della preghiera e dell’animazione musicale e in chiesa sono presenti dei sacerdoti per le confessioni.
Ogni compito è una chiamata che si riceve, al di là delle preferenze e propensioni personali. Molti missionari sentono una grande fatica nell’andare per strada a fermare le persone, sentendosi inopportuni e inadeguati nel compito: «Quest’esperienza mi ha messo fortemente in discussione – ha affermato un giovane – pensavo che fermare le persone per strada non fosse giusto, perché era come importunarle».

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SAN ROMANO - La Misericordia prosegue il suo cammino anche dopo la conclusione dell’anno giubilare. E lo fa tramite una delle più antiche associazioni di fedeli impegnati nel campo della carità: stiamo parlando proprio delle Confraternite di Misericordia. Due belle iniziative sono sorte in seno alla confraternita di San Romano, in aiuto dei terremotati del Centro Italia e delle famiglie bisognose locali.
Una carovana coordinata dalla Misericordia di San Romano è partita alla volta di Porto Recanati, nelle Marche, per donare alle popolazioni colpite dal terremoto aiuti di prima necessità, come generi alimentari e abbigliamento. Il materiale è stato consegnato al centro Giovanni Paolo II, noto anche come «La casa del papa per i giovani» gestita dal parroco don Paolo Volpe. Il centro ospita quasi 1000 persone rimaste senza casa, oltre ad accogliere un centinaio di anziani precedentemente degenti in case di curaod ospedali che non potevano più garantire loro l’assistenza necessaria.

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DALLA DIOCESI - Tutti aspettiamo qualcosa, o qualcuno. L’attesa è una dimensione fondamentale della nostra esistenza. Una dimensione che parla della nostra povertà, del nostro limite, ma anche del desiderio di qualcosa di nuovo che possa rispondere alle nostre esigenze più profonde. Il futuro in parte possiamo progettarlo e costruirlo, col rischio di fallire o di non riuscire a completare l’opera. Ma non tutto dipende dai nostri poveri mezzi e gran parte di ciò che verrà possiamo aspettarlo solo come dono. Il vero futuro è quello che ci viene incontro, superando gli schemi e le consuetudini. A questo possiamo solo prepararci, coltivando l’apertura del cuore e ravvivando il desiderio. C’è un tempo dell’anno liturgico che ci parla proprio di questo, ci aiuta a metterci di nuovo nell’atteggiamento dell’attesa: l’Avvento. A partire da questa domenica nella Chiesa si parlerà dell’avvento di Cristo, la sua prima venuta sulla terra, che ha aperto le porte della misericordia per tutta l’umanità.

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