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CEI - Era l’inizio di aprile, quando monsignor Giancarlo Perego, consultore del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, invitato a San Romano a raccontare lo status quo del fenomeno migratorio e dei modi in cui Chiesa e società lo ingaggiano, sciorinò dati e numeri impressionanti. Scrivevamo esattamente un mese fa:

«dal 2014 a tutto il 2017 sono arrivati sulle coste italiane oltre 620.000 persone (una popolazione pari quasi a tutti gli abitanti di una grande città come Palermo). Di questi ben 65.000 erano minori non accompagnati. Questi numeri nella loro freddezza statistica cristallizzano l’evidenza che negli ultimi 25 anni l’immigrazione nel nostro Paese è esplosa: basti pensare che nel 1991 in Italia risiedevano complessivamente 354.000 immigrati, mentre oggi siamo arrivati a oltre 5 milioni di persone. Come se l’intera area metropolitana di Roma fosse costituita interamente da immigrati. Praticamente un aumento di ben 14 volte in un quarto di secolo; ed è sotto gli occhi di tutti come questo fenomeno stia cambiando la vita delle nostre città e delle nostre famiglie».
Proprio in riferimento a tutto ciò, la Commissione episcopale per le migrazioni della Cei, nel giorno di Pentecoste ha indirizzato alla Chiesa italiana la lettera «Comunità accoglienti, uscire dalla paura». Vi si legge in premessa: «Ciò che ci spinge a prendere nuovamente la parola è il profondo cambiamento che in questi anni continua a segnare il fenomeno migratorio nel nostro Paese». Questo documento arriva in occasione del 25° anniversario del precedente «Ero forestiero e mi avete ospitato» (1993). In quell’anno, si legge, l’immigrazione era un fatto «"nuovo" ed emergente, di cui non si riusciva ancora a cogliere le dimensioni e le prospettive». Oggi siamo in presenza di un fenomeno sorprendente nel suo incremento, «con una incidenza sulla popolazione totale pari all’8,3%».
Nel Messaggio per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018, papa Francesco era stato accorato: «tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie responsabilità». Il recente documento della CEI aggiunge: «Siamo consapevoli che nemmeno noi cristiani, di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, con le sue opportunità e i suoi problemi, possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontarlo con realismo e intelligenza, con creatività e audacia, e al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche».
I vescovi italiani riconoscono che «esistono dei limiti nell’accoglienza. Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da un’economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose. Siamo, inoltre, consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza, perché l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese». Che fare allora in una situazione per certi aspetti inedita, che ha tutte le caratteristiche dell’emergenza epocale? Non esistono risposte preconfezionate. Sicuramente, affermano i nostri vescovi, «l’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione».
Uno dei punti salienti del documento è poi la vibrante sottolineatura del diritto a «non essere costretti a lasciare la propria terra», ossia il riconoscimento del primo inalienabile diritto di cui questi nostri fratelli in umanità sono portatori, quello di scegliere liberamente di non emigrare. «Per questo appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti, per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente». Si tratta sicuramente di cogliere le migrazioni come un segno dei tempi, un luogo frequentato da Dio, che chiede al credente di osare la solidarietà, la giustizia e la pace. Per far questo è necessario uno «sguardo profondo, uno sguardo capace di andare oltre letture superficiali o di comodo, uno sguardo che vada "più lontano" e cerchi di individuare il perché del fenomeno. Prima ancora di "aprire" o "chiudere" gli occhi davanti allo straniero è necessario interrogarsi sulle cause che lo muovono, anche se - e forse proprio perché - oggi appare più difficile che mai riuscire a distinguere quanti fuggono da guerre e persecuzioni da quanti sono mossi dalla fame o dai cambiamenti climatici». S’impone allora una rapida presa di coscienza riguardo ai meccanismi generati da un’economia che uccide e dell’iniquità che genera violenza.
Come ha scritto Papa Francesco: «Quando la società - locale, nazionale o mondiale - abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità».
Insomma, un documento prezioso e strategico, che innalza il livello del dibattito e chiarifica come, rispetto ad una problematica di questa portata, le soluzioni non si trovano alla fine dei nostri ragionamenti, ma alla fine del nostro impegno.

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