vescovo 30 maggio

«Quante volte ho letto e meditato la pagina di vangelo (Gv 21, 15-17) che abbiamo appena ascoltato! L’ho stampata nell’anima, ma ogni volta che la riascolto è sem-pre nuova. Una pagina che mi commuove, mi inquieta e mi responsabilizza.
Mi commuove perché sentire il Signore Gesù che mi chiede di amarlo, come fosse un innamorato in cerca di rassicurazioni, ha dell’incredibile. E sentirgli pronunciare il mio nome, chiedendo amore proprio a me, mi emoziona enormemente. Tu Signore, che mi chiedi di amarti! Tu signore che vuoi il mio amore! Tu Signore Gesù che mi cerchi e mi vuoi? Che perdi tempo per me e mi dai così tanta importanza? Tu Signore Gesù che mi dici di aver bisogno di me…? E qui, la commozione prende la gola e crea un nodo di gratitudine infinita. Quando poi, come nel caso del Vescovo, sai che questa richiesta d’amore è condivisione piena da parte sua, della sua missione, della sua opera, della sua vita, la gratitudine è più che infinita.
Ma è una pagina che anche mi inquieta. Si, perché l’insistenza con cui Gesù si rivolge a Pietro è la stessa che Egli ha con me. Sempre di nuovo Egli mi chiede se lo amo, se davvero lo amo. La domanda ripetuta mi fa capire che qualcosa non va nella mia risposta. Che ancora c’è da fare, ancora c’è da camminare, ancora c’è da scendere nella sincerità del cuore. Santa inquietudine dunque; santa e benedetta inquietudine che mi mette davanti - così come senz’altro fu per Simon Pietro - tutte le mi inadempienze, le mie mediocrità, le mie pigrizie, i miei peccati. E lo so, ne sono certo, che questa domanda del Signore: «Fausto, mi ami tu», mi “perseguiterà” uso un termine forte ma non lo uso in senso negativo – tutta la vita. E anche nel momento dell’ultimo respiro, Lui mi ripeterà la stessa, accorata domanda: “Fausto, mi ami tu?”


Ho detto che questa pagina anche mi responsabilizza, mi sprona. E qui entrate in scena voi, carissimi fratelli e sorelle di questa amata chiesa. Voi diaconi e presbiteri, voi seminaristi, voi religiosi e religiose e voi tutti popolo di Dio, giovani, anziani, famiglie. Si perché, come avete ben sentito, ad ogni risposta di Simon Pietro, il Signore Gesù conclude con: allora «Pasci i miei agnelli; pascola le mie pecore; pasci le mie pecore». E voi siete gli agnelli e le pecorelle del Signore. Ognuno di voi è suo e per ognuno di voi, lui il Pastore buono, ha versato tutto il suo sangue. Voi siete suoi, ma nello stesso tempo, da dieci anni vi ha affidato a me. E la pagina evangelica mi fa capire che non posso amare il Signore, se non amo voi, se non pasco voi, se non vi custodisco come il gregge prezioso del Signore, di cui Egli mi chiederà conto. Gesù è molto chiaro: l’amore che vuole da me, si concretizza, si esplica nell’amore verso di voi e in quella particolare specie di amore di cui il modello è Lui che pasce e guida il gregge, donando la sua vita per esso.
Non so davvero se sono oggi per voi l’immagine viva del buon Pastore. Nel mio giudizio, in tutta sincerità e onestà, mi pare proprio di no, o forse molto ma molto poco. Perché penso non solo a voi che siete qui, ma anche a chi è lontano o senza speranza, verso i quali dovrei essere come il buon pastore che va e cerca, consola e carica sulle sue spalle. Lascio però il giudizio alla misericordia di Dio, perché sono consapevole che mi devo preoccupare soltanto di rinnovare ogni giorno il mio impegno.
Intanto però voglio dirvi grazie per il tanto che mi avete dato e mi date ogni giorno. Il sorriso col quale mi accogliete nelle parrocchie come ogni volta che vi incontro, l’entusiasmo dei bambini, l’attenzione dei giovani, l’affetto dei sacerdoti e dei diaconi; la preghiera per me in ogni Messa e oltre, la vostra disponibilità, la fiducia enorme con la quale vi rivolgete a me, la fede, la speranza e la carità che mi testimoniate attraverso la vostra vita, davvero è stupefacente, e mi fa un gran bene. Credetemi. Vi ringrazio dal profondo del cuore perché mi state insegnando, giorno dopo giorno, ad essere immagine, la meno lontana possibile, del Buon Pastore. Per parte mia so solo una cosa: pur con tutti i miei limiti, il bene che vi voglio è grande. Me ne meraviglio io stesso. Ci riflettevo in questi giorni. L’affetto per voi è cresciuto dentro di me senza che neanche me ne accorgessi. Veramente posso dire con l’apostolo, che “mi siete diventati cari” e non è retorica dirvi che siete diventati parte di me.
Mi permetto di dirlo stasera anche agli uomini e alle donne delle Istituzioni e delle altre realtà significative di questo nostro territorio, la cui presenza e vicinanza mi onora, a cominciare da quella del sig. Prefetto di Pisa Dott. Tagliente. Apprezzo il servizio disinteressato alla popolazione, l’impegno per uno sviluppo economico e sociale degno dell’uomo e a partire dagli ultimi. Nel rispetto dei ruoli e delle competenze, mantenendo sempre la libertà della verità, debbo dire che l’accoglienza e la disponibilità nei miei confronti è davvero una bella realtà.
Le altre due letture della Messa di stasera ci riportano la testimonianza dell’apostolo Paolo (At 26, 19-23; 1Cor 9, 16-19.22-23) e su di essa vorrei soffer-marmi un momento. Ormai in carcere, sul punto di essere trasferito in catene a Roma, consapevole delle minacce per la sua vita, Paolo resta saldo nell’annuncio a tutti, «agli umili e ai grandi» che il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo fra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti". San Paolo non può tacere. Come dice scrivendo ai corinti: «guai a me se non annuncio il Vangelo». E’ una necessità che nasce dall’incontro vivo col Cristo Risorto e dal mandato ricevuto da Lui. Per questo, egli si è fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero di uomini. Si è fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; si è fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
Carissimi fratelli e amici: Quanto vorrei essere come l’apostolo Paolo. Quanto vorrei assomigliarli almeno un po’. Quanto desidererei avere il suo fervore apostolico, la sua instancabile ansia per la salvezza degli uomini, la sua capacità di sopportare ogni cosa per il Vangelo e di farsi tutto a tutto, continuamente in cammino per raggiungere tutti i luoghi e i cuori che attendono la Misericordia di Dio!
Lo desidero, lo vorrei. Ma il rischio è che rimanga soltanto un pio desiderio, una velleità, una volontà inefficace e alla fine allora un ipocrita modo di dire: per questo mi affido a voi, carissimi fratelli e sorelle, alla vostra preghiera incessante, fervente e anche al vostro pungolo. Fatevi avanti, chiedete, esigete da me che vi dia ciò di cui avete bisogno per il vostro cammino cristiano. Papa Francesco, recentemente, ha preso spunto da uno scritto di San Cesario d’Arles che paragona il Popolo di Dio ad un vitellino che ha fame e vuole il latte dalla madre, per dire che il popolo di Dio non deve aver paura di bussare alla porta dei pastori. La mucca sembra trattenere il latte: «E cosa fa il vitellino? Bussa col suo naso alla mammella della madre, perché venga il latte». «Così voi – ha detto il Papa e io lo ripeto – dovete essere con i pastori: bussare sempre alla loro porta, al loro cuore, perché vi diano il latte della dottrina, il latte della grazia e il latte della guida».
Concludo con le parole che ho voluto scrivere a ricordo di questa bella giornata e che ben sintetizzano quanto ho cercato di dirvi: Sono passati già dieci anni da quando il Papa San Giovanni Paolo II mi chiamò ad essere vostro Vescovo. Allora non vi conoscevo, ma sentivo che sareste diventati la mia famiglia, più cara ancora di quella del sangue. E così è stato. In questi anni ci siamo conosciuti e amati e il Signore mi ha fatto sperimentare attraverso di voi la bellezza e la gioia dell’essere per voi. Lo ringrazio infinitamente del dono di avermi chiamato a far parte del gruppo degli apostoli. La fiducia che Egli ha riposto in me, assolutamente non meritata, mi conforta e consola, mentre mi spinge a farmi ancora e sempre di più «tutto a tutti», ad essere per ciascuno di voi, padre, fratello e amico: davanti a voi per guidarvi sulle strade del Signore; in mezzo a voi per condividere gioie e dolori; dietro di voi per sorreggere chi più fa fatica nel cammino della vita. Che Dio mi assista! Una cosa sola però vi chiedo: di pregare per me. Già lo fate ogni volta che si celebra l’eucaristia. Vi chiedo soltanto di farlo in piena consapevolezza, con convinzione, con affetto. Come io continuerò a pregare per ciascuno di voi perché la benedizione di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e vi accompagni sempre la materna protezione di Maria Santissima».

Omelia di mons. Tardelli del 30 maggio 2014

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