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DALLA DIOCESI - «Glocalizzazione». No, non è una parolaccia bensì un fenomeno descritto per la prima volta dal sociologo polacco Bauman nel 2005. Il concetto è semplice: ripensare il fenomeno della globalizzazione rafforzando il ruolo e le identità locali. Una sorta di reazione delle tradizioni e del (buon) campanilismo nei confronti dei mutamenti epocali dell’era globale.
Passano probabilmente da questo concetto i termini del dibattito che nelle ultime settimane si è scatenato nel Valdarno inferiore rispetto alla proposta del rapporto Irpet - Regione Toscana che immagina nel futuro assetto istituzionale regionale un grande comune nell’area tra Pontedera e Empoli che assorba tutte le municipalità del comprensorio del cuoio, con l’aggiunta di Cerreto Guidi.
Una proposta shock di riassetto istituzionale che sconvolge gli equilibri di un territorio orfano di una guida e che è ancora in cerca di un identità precisa. Lo si capisce anche dalla cronaca di questi giorni, dove i comuni si stanno accapigliando sulla proposta dello stesso rapporto di identificare in Santa Croce sull’Arno la «Capitale del Cuoio».


Da un lato la città di Santa Croce, indubbiamente capitale dell’economia con un indotto che conta oltre diecimila posti di lavoro, un volume d’affari che fa dell’omonimo distretto uno dei più importanti d’Europa. Dall’altra San Miniato, la città con la «c» maiuscola, capitale del tartufo, della cultura, sede di un' importante istituzione bancaria, che ospita un importante polo industriale nella lavorazione del cuoio e anche - aggiungiamo noi sommessamente - centro della comunità cristiana e sede vescovile. Nel mezzo il comune di Castelfranco che, attraverso il suo Sindaco, invita a rinunciare al campanile per correre tutti assieme.
Il divertente e curioso botta e risposta che si è creato tra i sindaci del territorio riporta il tema ancora al glocalismo: la difesa delle differenze locali e la tradizionale diffidenza campanilistica della città del cuoio morde ancora la caviglia politica di questo territorio. E per quanto divertente e curioso, il gioco diventa anche utile, perché nel cercare le differenze e nel rimarcare le peculiarità dei singoli i nostri amministratori delineano ancor di più l’identità comune di questa porzione di Toscana. Una terra di mezzo che fa della manifattura e del commercio il suo cuore pulsante. Un territorio figlio dell’agricoltura, delle eccellenze uniche e di prodotti che ci invidiano da ogni parte del mondo. Un luogo da vedere e da visitare anche se forse il turismo non è ancora sufficientemente sviluppato. Un comprensorio che, con le sue differenze, ha dato i natali a grandi della cultura italiana, e fa cultura e vive di cultura.
Ma il Valdarno Inferiore è anche un territorio complesso, con i problemi che vivono le grandi città «policentriche», alcuni dei quali proposti da mesi su queste colonne: lavoro, ambiente, solidarietà e accoglienza.
Quattro grandi temi che dovrebbero stimolare seriamente il dibattito politico, che rappresentano sfide concrete di lungo periodo, pane per i denti della vera politica. Problemi sui quali si confrontano l’economia, la scienza, la filosofia e qualche volta anche la fede, che potrebbero essere sviluppati meglio da un punto di vista comune e che richiedono risposte urgenti.
Nell’epoca dei grandi e continui mutamenti sociali e istituzionali c’è da chiedere ed aspettarsi di più dalla nostra classe dirigente, al di là di curiosi e divertenti (chissà anche utili) battibecchi.

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