libro 04

DALLA DIOCESI - Sia fin da subito chiaro: credere o non credere in Dio e orientare la propria vita di conseguenza le considero scelte egualmente legittime. Non ho niente da dire su chi si professa ateo e si comporta in maniera onesta e rispettosa del prossimo. Sono infatti consapevole che sull’opzione di fede influiscono fattori biografici e predisposizioni personali che sfuggono a un’analisi precisa. Essendo la fede, dal punto di vista teologico, la risposta libera dell’uomo a Dio che si rivela nei tempi e nei modi che a Lui piacciono, sarebbe ingiusto attribuire alla non credenza in generale un aspetto di colpevolezza.
Non intendo quindi criticare l’ateismo come scelta personale, bensì quel fenomeno più specifico che potremmo definire “ateismo militante”. Mi riferisco a quella serie di comportamenti aggressivi messi in atto da chi, solitamente basandosi su argomenti di tipo filosofico, storico o scientifico, intende ridicolizzare i credenti, accusandoli di ingenuità, irrazionalità e ignoranza, e denigrare la religione presentandola come fonte di arretratezza, oscurantismo e violenza. Sono certo che il lettore avrà avuto modo di riscontrare questo tipo di argomenti nei più vari contesti, dal dibattito televisivo al best seller in libreria, dalla lezione del professore post-sessantottino alla polemica sui social network.


Se negli Stati Uniti la critica della religione è appannaggio principalmente degli stand-up comedians, i comici monologhisti, in Europa essa si riscontra maggiormente in ambito accademico o comunque “colto” e annovera tra i suoi rappresentanti biologi, astrofisici e professori di logica matematica. Ciò non deve meravigliare, dato che l’ateismo militante europeo vanta tra i suoi padri nobili alcuni illuministi francesi e illustri filosofi otto-novecenteschi.
Questi ultimi, che affrontarono l’argomento con una certa serietà, giunsero a una visione chiara degli esiti nichilistici e assurdi dell’ateismo (si pensi a Nietzsche, a Camus, a Sartre…). Cancellare Dio dall’orizzonte dell’esistenza significa eliminare qualsiasi punto di riferimento certo, sia in campo razionale che morale. Una sfida che i grandi atei del passato furono disposti ad affrontare, a costo di cadere nella follia o nella disperazione.
L’ateismo militante attuale invece si distingue per uno strano ottimismo, come se per migliorare la società bastasse togliere di mezzo i simboli religiosi e trasformare le chiese in ristoranti, musei o discoteche, senza determinare al tempo stesso il collasso dell’intera cultura occidentale.

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