Cerretti Noia

CERRETTI - Uno sguardo medico, etico e giuridico sulla realtà della fecondazione artificiale per passare dalla mera informazione alla conoscenza. Questa l’obiettivo dell’incontro organizzato domenica 15 aprile presso la parrocchia di Cerretti con tre relatori d’eccezione: il prof. Giuseppe Noia, ginecologo e direttore dell’hospice perinatale del Policlinico Gemelli, il vescovo di San Miniato, mons. Andrea Migliavacca, e il giudice della Corte di Cassazione, dott. Giacomo Rocchi. A fare gli onori di casa padre Riccardo Saccomanno, dei Servi del Cuore Immacolato di Maria.

Tecniche abusate e dannose
Nella sua relazione, il prof. Noia ha illustrato il «protagonismo biologico dell’embrione», il dialogo che si instaura tra la madre e il figlio fin dall’istante del concepimento, richiamando l’attenzione in particolare sugli 8 giorni che precedono l’annidamento dell’embrione nell’utero materno. Questa fase del passaggio nella tuba di Falloppio, in cui non soltanto viene definito il rapporto con la madre ma anche determinata la tendenza verso alcune malattie nell’età adulta, viene "saltata" dalle tecniche di fecondazione artificiale. Le conseguenze sulla salute del bambino sono spesso colpevolmente taciute e con grande faciloneria si ricorre a queste tecniche, senza cercare prima (come prevederebbe la legge 40/2004) di rimuovere le cause che impediscono la procreazione naturale.
Le previsioni di successo (bimbo in braccio) della fecondazione in vitro sono "gonfiate" a fini pubblicitari dai centri che la praticano (gran parte dei quali sono privati): alcuni dichiarano un tasso di successo del 61%. I dati del Ministero della Salute riducono la percentuale al 22%, e se consideriamo che la maggioranza delle donne che accedono alla fivet hanno più di 40 anni il tasso di successo scende drasticamente all’1,7%. Ma su queste pratiche si è sviluppato un vero e proprio business che ha spinto, quattro anni fa, il British Medical Journal a titolare: «Stiamo usando troppo le tecniche di fecondazione artificiale?». E la risposta è stata: «Sì, le stiamo usando troppo».
I dati numerici dicono che la perdita embrionale nella fecondazione in vitro è del 91%, quella da scongelamento del 92, la perdita dopo biopsia pre-impianto del 93, e nel caso di sindrome di Down, la diagnosi prenatale conduce nel 92% dei casi all’aborto. Con queste tecniche, ha notato il prof. Noia, stiamo creando malformazioni invece di curarle. L’incidenza di malformazioni nei bambini nati da fecondazione artificiale è doppia rispetto a quella dei bambini concepiti in modo naturale. È stato dimostrato che la superovulazione, la fertilizzazione in vitro e la coltura dell’embrione sono tutte operazioni che incidono sul Dna del concepito. E anche la salute della donna viene messa a repentaglio: numerosi studi a livello internazionale mettono in relazione un aumento del rischio di tumore al seno all’induzione della gravidanza con embrioni multipli.

La vita come dono e responsabilità per l’uomo
Dopo la relazione del prof. Noia, la parola è passata al vescovo Andrea Migliavacca che ha sviluppato il tema della vita come dono di Dio e come responsabilità, facendo riferimento a due testi biblici: Gen 1,26 ss. (la creazione dell’uomo) e il Salmo 8 ("che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?"). La coppia, formata dall’uomo e dalla donna, ma del resto ogni persona umana, è chiamata alla fecondità, a far vivere altri. In questa prospettiva si colloca la ricerca di un figlio. Una ricerca che, ha notato il Vescovo, oggi vede il moltiplicarsi dei fattori di difficoltà: matrimoni rimandati a un’età più avanzata, fattori ambientali e comportamentali che provocano conseguenze sulla fertilità, problemi legati alla gestione del tempo che incidono sulla possibilità di essere fecondi... E piuttosto che cercare una soluzione a queste difficoltà si scelgono vie che appaiono più facili e più veloci.
Il riferimento principale per una valutazione morale delle tecniche di fecondazione artificiale è un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum vitae (1987), che ricorda come l’atto naturale della fecondazione abbia allo stesso tempo un significato unitivo e procreativo. La dimensione biologica e quella spirituale della coppia sono coinvolte nell’atto coniugale. Non si può quindi considerare positivamente una tecnica di fecondazione che sostituisca questo atto. Si aggiungono, dal punto di vista morale, altre problematiche, come quelle degli embrioni soprannumerari congelati o dell’utero in affitto. Riprendendo uno spunto del prof. Noia, il Vescovo ha ribadito che non si può parlare del diritto ad avere un figlio, ma piuttosto dei diritti del figlio che deve nascere. Ha richiamato poi i tre principii della coniugalità (relazione stabile tra uomo e donna), naturalità e rispetto della vita nascente, da tenere presenti nel confrontarsi e nell’accompagnare le coppie nel momento della scelta e oltre la scelta, in una logica del discernimento alla luce del messaggio evangelico ed ecclesiale.

La necessaria critica delle leggi ingiuste
Il dott. Giacomo Rocchi, magistrato, ha parlato della legge 40, che regola la prassi della fecondazione artificiale in Italia, facendo riferimento alla categoria delle leggi ingiuste. Anche quando non c’è una reale possibilità di cambiarle non è un esercizio inutile denunciare l’ingiustizia di determinate leggi. Abbiamo il diritto e il dovere di fare questo tipo di valutazione e di non essere asserviti a certe norme dal punto di vista della coscienza personale e sociale. Purtroppo, infatti, c’è una tendenza a confondere la valutazione legislativa con la valutazione etica: ciò che viene permesso dalla legge è contestualmente considerato come buono e necessario. Già Cicerone però aveva riconosciuto che l’unico modo per riconoscere la bontà di una legge è fare riferimento alla norma di natura. Nel momento in cui ci distacchiamo dalla realtà naturale e facciamo finta che questa non esista, cadiamo nell’ingiustizia. Dopo aver portato gli esempi del processo di Norimberga e dei crimini nazisti compiuti in obbedienza a leggi formalmente promulgate, il dott. Rocchi ha ricordato con commozione la vicenda del piccolo Alfie Evans, che un giudice in Inghilterra ha deciso di far morire perché la sua vita è considerata "futile". Il genitori - ventenni - di Alfie cercano di opporsi a questa sentenza ingiusta perché riconoscono che il bene della vita di questo bambino.
Quindi, ha proseguito il magistrato, è utile discutere della legge 40. Una legge che parla esplicitamente di "prodotti" riferendosi ai bambini ottenuti con la fecondazione in vitro. Si producono più ovociti possibili (produzione in serie), li si fecondano tutti e poi si selezionano gli embrioni più adatti ad essere trasferiti nel corpo della donna (controllo di qualità). Il figlio viene prodotto per uno scopo, che non è soltanto di carattere riproduttivo, ma anche eugenetico (miglioramento della razza). Basti pensare, a questo proposito, che l’Islanda si è auto-proclamata prima nazione senza bambini Down "grazie" all’uso della fecondazione artificiale e all’aborto volontario. In questa direzione va evidentemente anche la norma contenuta nella legge 40 che permette l’accesso alla fecondazione artificiale anche alle coppie fertili.
Non sorprende che in Italia due noti ricercatori abbiano recentemente tenuto conferenze sulla possibilità dell’aborto post-nascita (infanticidio). «La logica è identica per tutte le età della nostra vita», ha concluso il dott. Rocchi: «Con la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento e sull’eutanasia, il legislatore, dopo essersi occupato dei bambini da abortire e degli embrioni prodotti, improvvisamente si è accorto di ciascuno di noi. E gli stessi criteri che ha usato finora e che ci siamo abituati a considerare giusti, li userà anche nei nostri confronti».

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