DALLA DIOCESI - Eravamo riuniti intorno alla tavola per festeggiare l’arrivo del nuovo anno e la nascita di Tiziana, di appena 35 giorni, che dormiva serenamente. In quella occasione si erano stretti a me tutti i parenti. Provavo la stessa viva e intensa sensazione provata da bambino per Natale. La gioia dei regali, le luci dell’albero, la magia del presepe che vedevo riflesse negli occhi stupiti di Cristiano, tre anni.
Tutto era iniziato nove mesi prima, con la seconda gravidanza vissuta con serenità e gioia, ma anche con l’incredulità di chi, come noi, ha atteso 12 anni il primo figlio: Cristiano. Dolce attesa condivisa da Cristiano che ha imparato ad amare sua sorella già nel grembo materno. Facile trovarlo ad accarezzare il pancione di mamma, e farsi attento osservatore per cogliere le immancabili pedate della sorella.
Al momento del parto, la decisione per il «cesareo». La breve attesa nel corridoio e la notizia: una femmina! Gioia istintiva e incontenibile, poi la commozione. Mia moglie sta bene. Parlo col pediatra... resto incredulo, impietrito: mia figlia è down (mongoloide). La prima sensazione non è di dolore. È angoscia, paura, terrore che mi paralizza. Il mondo sembra crollarmi addosso e provo sgomento. Come dirlo alla mamma? Come e dove trovare il coraggio? Perché? Perché?
Per lunghi giorni medito, come non faccio da molto tempo. Piango in silenzio. Con Cristiano e mia moglie mi sforzo di sorridere; riesco anche a scherzare. Tiziana mangia e dorme, non piange mai. Mi hanno detto che sono bambini tranquilli. Penso al Natale oramai prossimo. Prego Gesù che mi dia serenità e coraggio.


Inconsapevolmente trovo a poco a poco le prime risposte ai miei dubbi. Le trovo in me stesso: la necessità, non di sopravvivere, ma di vivere, il vero significato della vita, l’amore, la fede contro egoismo e rancore.
Mi impongo serenità e trovo pace, a poco a poco. Non mi sento rassegnato, consapevole della prova che mi attende. Per fugare da me stesso paura e sfiducia, mi rifugio nel pensiero dell’amore. Senza condizioni.
Sono passati dieci lunghissimi giorni, vissuti con dentro un segreto che non riesco e non posso più tenere. Devo dare la notizia a mia moglie, che già conosce parte della verità. Ancora non sa che non esiste e che mai esisterà nulla in grado di modificare la condizione della nostra bambina.
Non ricordo cosa ci siamo detti in quei momenti. Abbiamo pianto a lungo abbracciati. Abbiamo sopratutto parlato del passato e fatto progetti per il futuro. Ricordo bene le promesse che ci siamo fatti reciprocamente: non farci condizionare dalla nuova situazione, non farci prendere dall’affanno nella pur giusta ricerca di risposte e nella ricerca di conoscenza e competenza di un problema del tutto nuovo.
Sono passati oltre trent’anni anni da quel Natale. Mi sento diverso. Mia Moglie si è confermata donna e mamma meravigliosa. Viviamo sereni e anche felici. L’amore tra noi e verso i nostri figli è stato il vero aiuto che ci siamo dati. Un amore ancor più consapevole che mi ha restituito il dono della fede, che avevo trascurato per indifferenza, e che mi ripaga dandomi gioia e sicurezza. Siamo di nuovo a Natale. Riusciamo a provare vera gioia per ogni sua piccola conquista, senza porci né mete né limiti. Rendiamo grazie a Dio di tutto.

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