EDITORIALE -A Mosca nei giorni scorsi è stata inaugurata una colossale statua in marmo raffigurante il sergente Mikhail Kalashnikov, l’inventore dell’AK-47, il più diffuso fucile mitragliatore al mondo. Adottato da almeno 80 eserciti regolari e irregolari, il Kalashnikov è stata ed è tuttora l’arma preferita da guerriglieri, terroristi, criminali, ribelli e trafficanti d’ogni genere. Il suo profilo inquietante compare come icona in ben quattro bandiere di stati sovrani. Talmente icona dei nostri tempi, che il regista e musicista Goran Bregovic gli ha dedicato addirittura una canzone. Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire, per l’arma automatica che da sola ha ucciso più esseri umani (svariati milioni) di tutte le altre armi automatiche messe insieme.

A Mosca non si sono fatti mancare niente per celebrare il loro eroe: inno nazionale russo, guardia d’onore del Cremlino, benedizione della Chiesa ortodossa, messaggio di riconoscenza del presidente Putin e addirittura presenza del ministro della cultura che ha sottolineato come il Kalashnikov sia «un marchio culturale della Russia». Forse davvero troppo per un uomo che, pur intriso di orgoglio patriottico, ha confessato negli ultimi suoi giorni (è scomparso a 94 anni nel 2013) di essere dilaniato dai rimorsi. Ma che c’entra il kalashnikov con la festa del Rosario? Intersezioni mentali, spigolature eccentriche: ripensavo con compassata ironia all’invenzione del vecchio sergente dell’Armata rossa, rammentando che il popolo colombiano è solito chiamare il rosario «il mitra dalle 50 pallottole», e un abisso di vertigine mi ha colto al pensiero di quante vite ha spezzato l’uno, e di quanta vita - misteriosamente - ha seminato e generato l’altro. Che il Rosario fosse un’arma impropria ne era convinto anche padre Pio che, a chi gli chiedeva il perché recitasse così tanti rosari quotidiani rispondeva con robusta ironia: «’uagliò, il rosario è un’arma, se non spari tu, spara quell’altro». Nell’imminenza della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571 - vinta dalla coalizione cristiana) il Sultano turco raccontava di non temere assolutamente i cannoni della flotta cristiana, «ciò che temo è quel vecchio a Roma col suo rosario in mano». Quel vecchio era papa Pio V, che da giorni percorreva scalzo le strade della Città Eterna recitando il Rosario e invitando il popolo a fare altrettanto.

La festa del Rosario che si celebra nel giorno stesso della vittoria a Lepanto, porta con sé anche questo florilegio di curiosità. Non dimentichiamo mai che, come testimoniato da innumerevoli santi, ogni Ave Maria è una scossa tellurica da nono della scala Richter, assestata a tutta l’architettura dell’inferno. E se il maligno nutre tanto odio verso una simile devozione è perché giustamente vi vede un abisso di umiltà e l’arma dei poveri di spirito secondo il vangelo.

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