Introduzione
Il pellegrinaggio diocesano a cui abbiamo partecipato in agosto, in quanto seminaristi, ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con alcuni dei luoghi delle vicende bibliche antico-testamentarie e con la terra in cui Gesù ha vissuto, che ha visto con i propri occhi e ha percorso innumerevoli volte a piedi durante la sua vita terrena.
Parte dei posti che fanno da sfondo ai racconti biblici dell’antico testamento e del nuovo testamento hanno così preso una forma concreta nella nostra mente: da quel momento la lettura della Bibbia è divenuta un’esperienza ancora più “viva”, che ci permette di entrare in maniera maggiormente immersiva nei racconti della storia della salvezza.
Dopo l’ascensione Gesù ha lasciato fisicamente questa sua terra, per cui non è necessario spingersi fino in Terra Santa per fare esperienza di un incontro vero con Lui. Tuttavia Egli ha consegnato tracce incancellabili a questi luoghi che nemmeno devastazioni e guerre hanno potuto far scomparire. Gesù ha infatti scelto una terra e un luogo ben preciso dove incarnarsi per venire in mezzo agli uomini e, giustamente, Ernest Renan definisce la Terra Santa «il quinto Evangelo».
In cammino come gli antichi pellegrini cristiani dei primi secoli abbiamo sperimentato che ogni luogo, ogni pietra, ogni scorcio visivo in qualche modo dice della presenza di Dio, ci parla di Dio e della sua Rivelazione progressiva all’uomo che ha l’antica origine proprio in questa terra avente un aspetto e una conformazione geografico-climatica specifica, ha i nomi di località ben precise che sono care e familiari ad ogni cristiano pur non avendole mai viste dal vivo come ad esempio Nazareth, Cafarnao, il lago di Gennesaret/Tiberiade e le sue colline, la Giudea con Betlemme, Gerico e Gerusalemme, il monte Tabor.
Abbiamo così raccolto questa opportunità inaspettata che ci è stata offerta e ci siamo messo in cammino mossi dal desiderio di vedere i luoghi di Gesù, di camminare su alcune delle vie che anche lui ha percorso, di ammirare i paesaggi che pure i suoi stessi occhi di uomo hanno osservato e, tutto ciò, per poter comprendere meglio, per quanto possibile, dal di dentro, la sua storia umana come consegnataci dai racconti evangelici. Sono tanti i luoghi molto belli che abbiamo visitato e ciascuno ha un suo particolare valore e fascino per il pellegrino. Ci soffermiamo velocemente solo su alcuni di essi fornendone una breve descrizione.
Esposizione
Deserto del Neghev
Il pellegrinaggio è stato emozionante fin da subito. Siamo partiti dal sito di Sde Boquer, dove si trova la tomba del primo premier israeliano David Ben Gurion da cui abbiamo potuto godere di una splendida vista su una delle valli che taglia il deserto del Neghev, per poi proseguire con la risalita della fonte di Advat nei pressi della valle di Zin: questi luoghi ci hanno permesso di comprendere meglio il viaggio di quarant’anni nel deserto compiuto dagli Israeliti descritto nel libro dei Numeri e scandito più che altro dai vari mormorii di Israele. Abbiamo poi esplorato le rovine delle città nabatee di Avdat e Mamshit. In questa breve ma intensa esperienza nel deserto del Neghev in particolare sono riecheggiate in noi seminaristi alcune immagini forniteci dai profeti, soprattutto quella di Osea al capitolo 2 versetto 16, in cui il deserto è presentato come luogo privilegiato dell’incontro con Dio e dove Egli parla al cuore dell’uomo.
Verso Betlemme
Proseguendo il nostro tragitto nel dirigerci verso Betlemme abbiamo rapidamente fatto tappa a Gerico e, più avanti, si è potuto sostare qualche momento per ammirare frontalmente, da un bellissimo punto panoramico, il monastero greco ortodosso di San Giorgio Koziba, risalente al V sec. d.C.. Secondo la tradizione il profeta Elia sarebbe rimasto qui in una grotta per circa tre anni.
Betlemme
Betlemme (che in ebraico può essere tradotto in “casa del pane” o “casa della battaglia”) dista circa 12 km dalla Città Vecchia di Gerusalemme dalla quale è divisa attraverso il Muro di separazione. Questa cittadina riveste un’importanza notevole per credente: è il luogo della nascita di Gesù e il luogo di origine del re Davide. Il cuore cristiano della città è rappresentato dalla basilica della Natività, adesso in restauro, dove al proprio interno, sotto l’altare, ritroviamo la Grotta della Natività. Essa è sostanzialmente uno spazio chiuso senza finestre lungo circa 12 metri, largo 3,5 metri e alto 3. Qui la tradizione colloca il punto in cui è nato il Messia attraverso una stella d’argento a quattordici punte inserita nel pavimento di marmo che reca l’iscrizione latina «Qui Gesù Cristo è nato dalla Vergine Maria». Sopra la stella è posto l’altare della Natività utilizzato dagli armeni e dagli ortodossi per la liturgia. Poco distante da esso, scendendo tre gradini, ritroviamo una mangiatoia scavata nella roccia e di fronte a questa il piccolo altare consacrato ai Magi usato dai cattolici: qui abbiamo potuto celebrare la mattina presto la Santa Messa e la sera, in via del tutto eccezionale solo per noi grazie alla concessione prestataci dai francescani, svolgere una veglia di preghiera venerando questo luogo santo che, durante il giorno, è affollatissimo dai pellegrini che vengono soprattutto a baciare la stella a quattordici punte.
Un momento molto toccante della nostra fermata a Betlemme è stata la visita dell’orfanotrofio Hogar Niño Dios ovvero una casa di accoglienza per bambini disabili, abbandonati o in grave necessità, gestita dalle suore della Famiglia del Verbo Incarnato le quali fanno letteralmente “da mamma” a più di 20 bambini e ragazze disabili fisici e mentali che altrimenti non avrebbero dove andare.
Gerusalemme
Gerusalemme (“Jeru-Salem” interpretato per la maggiore come “fondazione del [dio] Salem”) è stata indubbiamente momento centrale del nostro viaggio in Terra Santa. Le sue origini risalgono oltre al 3000 a.C. e fu conquistata dal re Davide intorno al 1000 a.C.. La città ad oggi consta di 800.000 abitanti dove circa 500.000 sono ebrei, 300.000 musulmani e 15.000 cristiani. La Città Vecchia è suddivisa in quattro quartieri che prendono il nome dalla popolazione/religione di maggioranza, per cui si ha il quartiere musulmano, quello cristiano, quello ebraico e quello armeno. Abbiamo potuto godere di una magnifica vista della Città Vecchia dalla terrazza prospiciente la cappella della Dominus Flevit edificata nel 1935 su progetto del Barluzzi per iniziativa dei francescani minori. Qui abbiamo celebrato poi la Santa Messa. Un dettaglio interessante caratterizza questo luogo di culto intimo e raccolto: dietro l’altare si apre una vetrata che funge da cannocchiale prospettico proprio verso le mura di Gerusalemme.
Al tramonto abbiamo poi trascorso un momento intenso di preghiera e meditazione, da cui abbiamo potuto anche osservare nuovamente le mura di Gerusalemme e la Valle del Cedron, nel giardino del romitaggio del Getsemani (“Gat-shmanim” che significa “torchio per le olive”) dei francescani minori situato ai piedi del Monte degli Olivi, dietro la Basilica dell’Agonia consacrata nel 1924 e progettata dall’architetto Barluzzi sopra i resti dell’antica chiesa medioevale del Salvatore dopo gli scavi del 1891-1901.
Parte del medesimo complesso è la Tomba di Maria nei pressi della Grotta dell’arresto. Questo luogo di culto mariano è molto suggestivo: attraverso il portale di epoca crociata si accede alla cripta grazie ad una grande scalinata che ai due lati ha rispettivamente la cappella di san Giuseppe e la cappella dei santi Gioacchino e Anna. L’ambiente è ornato con quadri, icone e lampade in stile cristiano-orientale. È di proprietà dei cristiani greco-ortodossi e armeni. La tomba vera e propria della Vergine è formata da un blocco in pietra alto da 1,50 a 1,80 metri dotato di due aperture per il passaggio dei fedeli al cui interno è contenuta, secondo la tradizione, la roccia su cui fu deposto il corpo di Maria prima della sua assunzione. Questo spazio è caratterizzato da un grande silenzio e raccoglimento.
Due momenti importanti sono stati certamente la visita al Monte del Tempio detto anche Spianata delle Moschee e al Muro del pianto.
La Spianata ha una grande importanza per l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam e proprio per questo è sempre stato un luogo sottoposto a forti tensioni durante tutta la sua storia. In particolare per noi cristiani il Tempio di Gerusalemme, che era collocato in questa area, ci ricorda che qui Gesù venne più volte (cfr. Gv 10,22-23) e insegnò (Gv 2,13-22; 7,14). Ci ha veramente impressionato la notevole bellezza artistica del santuario della Cupola della Roccia all’interno del complesso della moschea di Al-Aqsa, il cui aspetto attuale è dovuto principalmente a Solimano il Magnifico.
Il Muro del pianto è il centro spirituale del quartiere ebraico, ossia ciò che resta del Tempio di Gerusalemme. È ritenuto dagli ebrei ormai l’unico luogo santo rimasto dopo la sua distruzione avvenuta nel 70 d.C.. Nello spiazzo davanti al Muro abbiamo potuto osservare da vicino alcune tipiche pratiche religiose degli ebrei ortodossi che, a prima vista, possono apparire molto curiose: la separazione di uomini e donne per la preghiera, l’utilizzo della kippà e i lunghi riccioli davanti alle orecchie detti peot per i maschi, il tallit (mantello), le strisce di cuoio a cui sono fissate due scatolette contenenti i testi di Es 13,1-10;11-26 e Dt 6,4-9;11,13-21 (tefillìn).
A conclusione di una delle giornate di pellegrinaggio a Gerusalemme abbiamo avuto un incontro molto edificante con l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, francescano minore e biblista, già 167º Custode di Terra Santa e Guardiano del Monte Sion dal 2004 al 2016, che da giugno 2016 è divenuto amministratore apostolico del patriarcato di Gerusalemme dei latini. L’arcivescovo ci ha accolto con molta cordialità mettendo tutti noi fin da subito a nostro agio. Dopo una breve presentazione del territorio da lui amministrato, dei vari incarichi ricoperti e delle problematiche presenti in diocesi si è reso disponibile per rispondere alle numerose domande poste con entusiasmo dal nostro gruppo, alle quali ha risposto pazientemente con molta chiarezza, sincerità e precisione.
Uno dei luoghi più affascinanti ed emozionanti di tutto il pellegrinaggio è stato sicuramente la basilica del Santo Sepolcro che rappresenta la meta centrale per i cristiani che si recano a Gerusalemme. Ad un primo impatto visivo (come ad esempio la facciata d’ingresso) abbiamo pensato che in realtà la basilica potesse essere maggiormente curata ed avere un aspetto molto più maestoso, architettonicamente ed artisticamente parlando, data l’importanza del luogo. Ma rammentando la lunga e complessa storia di questo edificio abbiamo capito perché lo stato attuale sia tale.
Secondo quanto stabilito da un decreto ottomano emanato nel 1852 e chiamato Status Quo sono regolati i diritti di proprietà e di accesso della comunità cristiane all’interno del Santo Sepolcro, della basilica della Natività di Betlemme, del Sepolcro di Maria nella valle del Cedron e della cappella dell’ascensione sul Monte degli ulivi. Tale decreto fissa gli spazi, gli orari e i tempi delle liturgie, gli spostamenti e i percorsi. Le comunità cristiane che si dividono la basilica del Santo Sepolcro sono sei: gli ortodossi armeni, gli ortodossi greci, i latini (ovvero i cattolici romani rappresentati dai francescani), i siro-ortodossi, i copti e gli etiopici. Le chiavi per l’apertura e chiusura dell’unico portone di ingresso rimasto, dopo che Saladino fede murare tutti gli altri, sono invece affidate dal XIII secolo, sempre su mandato di Saladino, a due famiglie palestinesi musulmane che si sono tramandate le chiavi di generazione in generazione. Si comprendono le difficoltà che possono emergere da questo tipo di situazione.
Appena entrati ci siamo soffermati qualche momento sulla Pietra dell’Unzione che ricorda la deposizione di Gesù dalla croce grazie a Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Qui molti fedeli venerano la reliquia baciandola e posandovi sopra gli oggetti per attrarre la sacralità del luogo. Proseguendo a destra di essa, attraverso due ripide scalinate, si ha accesso al Golgota/Calvario suddiviso a sua volta in due spazi principali: la metà di sinistra con l’altare della Crocifissione sotto al quale vi è la roccia del Calvario appartiene agli ortodossi-greci, mentre ai latini appartiene la metà destra e l’altare dedicato all’Addolorata. Il nostro gruppo ha potuto celebrare la Santa Messa la mattina presto proprio in questa cappella: è stato uno dei momenti di preghiera più belli del nostro viaggio.
Successivamente ci siamo recati nello spazio principale della basilica ovvero quello dedicato al Santo Sepolcro vero e proprio. Grandi colonne definiscono i confini dove è contenuta l’edicola del Sepolcro, sovrastata da una grande cupola. La cappella del Santo Sepolcro è lunga circa 8 metri e larga 6 con un altezza di 6 metri. Essa ha subito numerose modifiche durante i secoli e ad oggi si presenta come una tomba ebraica che include il vestibolo detto “cappella dell’angelo” e la camera mortuaria di Gesù a cui si accede attraverso una piccola apertura, alta poco più di un metro, alla destra della quale ritroviamo un altare costituito da una lastra in marmo che copre la pietra su cui venne posto il corpo di Gesù. Nel medesimo spazio ritroviamo anche tre immagini del momento della risurrezione e diverse lampade ad olio.
Durante la visita, nonostante vi fosse il custode ortodosso che spesso entrava ed usciva dal piccolo tempietto per sollecitare i fedeli a fare una breve preghiera e lasciar posto anche agli altri, si respirava un silenzio e una pace insolita che proiettava in una dimensione di massima sacralità.
Un momento di preghiera molto forte della nostra tappa a Gerusalemme è stato pure percorrere la Via Dolorosa attraversando la Città Vecchia, facendo sosta lungo tutte le 14 stazioni pregando e riflettendo nonostante i rumori e le distrazioni presenti per le strade: questo ci ha consentito di comprendere in prima persona, almeno un poco, cosa volesse dire per un condannato alla crocifissione al tempo di Gesù, come Lui stesso, aggirarsi per quelle strade certamente non attorniato da onori.
Sul lago di Gennesaret/Tiberiade
Partiti da Gerusalemme ci siamo diretti verso il lago di Gennesaret o di Tiberiade, chiamato anche mare di Galilea, luogo in cui sono ambientati numerosi episodi della vita pubblica di Gesù e dove lo si vede spesso in azione affiancato dai suoi discepoli. Abbiamo attraversato su un battello il lago, facendo memoria degli episodi in cui Gesù sulla barca con i discepoli calma la tempesta (cfr. Mc 4,35-41) e quando Egli cammina sulle acque (cfr. Mt 14,22-33). Prima però abbiamo fatto una breve sosta presso le rovine di Kursi, la località presso cui Gesù liberò un indemoniato (cfr. Mc 5,1-17) e, sotto il sole cocente, abbiamo potuto ben immaginarci questa celeberrima scena evangelica.
Giunti a Tabgha abbiamo visitato due chiese dove hanno preso vita altrettante scene narrate nei vangeli, ovvero la chiesa della moltiplicazione dei pani (cfr. Mc 6,30-44) e la cappella del primato di Pietro (cfr. Gv 21,1-17). A pochi passi da essa abbiamo potuto pernottare all’aperto grazie allo spazio riservatoci dai francescani e, alcuni di noi entusiasti della splendida vista di cui si godeva verso il lago di Tiberiade, nella piccola spiaggia antistante la chiesetta si sono concessi un piacevole bagno.
A soli due km da Tabgha si trova l’area archeologica di Cafarnao che ci ha piacevolmente incantato grazie al bellissimo panorama che pure da qui si gode verso il lago e per la sensazione di familiarità dovuta al fatto di essere nella località dove Gesù è stato molto attivo (cfr. Mc 1,21-34-2,1-12) e dove, nella sua vita pubblica, qui aveva stabilito la sua “base operativa”, proprio dove risiedeva anche Pietro (cfr. Mt 4,12-17).
Abbiamo appreso che Cafarnao è stata riscoperta recentemente grazie agli scavi archeologici compiuti nel novecento, i quali hanno rinvenuto una sinagoga del IV-V secolo d.C.. Anche se questa non è la l’autentica sinagoga dove Gesù operò, possiamo ricordare comunque che in quella di Cafarnao Egli fu attivo in svariate occasioni (cfr. Gv 6,22-71).
È stata individuata pure la casa di Pietro, di forma ottagonale e simile alle altre case del sito, che gli archeologi hanno indicato essere distribuita su tre epoche, la più antica risalente a quella di Gesù. Negli anni ’80 vi è stata costruita sopra una chiesa avente una forma tale da permettere di pregare sopra questo luogo senza intaccarne gli antichi resti. La costruzione che ne è risultata appare piuttosto schiacciata. Essa è impreziosita al suo interno da bassorilievi in legno che ripercorrono momenti della vita di Cristo. Qui abbiamo celebrato la santa eucaristia, circondati dalle luci e colori del tramonto riflessi nel lago.
Conclusione
Il nostro pellegrinaggio è andato oltre le nostre aspettative, nel senso che non pensavamo che saremmo riusciti a vedere così tanti luoghi nel tempo previsto. Ricordiamo che abbiamo rammentato solo alcuni dei posti più belli che sono stati visitati, ma si è fatto sosta anche in molti altri non meno interessanti (come ad esempio Nazareth e il monte Tabor). Abbiamo fatto una esperienza intensa entrando a contatto con i luoghi originari della nostra fede, andando direttamente alla sorgente dei racconti biblici che leggiamo ogni giorno nella liturgia. Il cammino fatto insieme come gruppo coeso ha reso l’esperienza ancora più bella permettendoci di stringere nuove amicizie. Siamo convinti che ognuno porterà sempre con sé un ricordo bellissimo di questa avventura al cuore del cristianesimo. Il fascino di quelle terre orientali rimasto in ciascuno di noi sarà il richiamo che in futuro ci metterà in moto per una nuova esperienza nella terra in cui visse l’uomo-Dio Cristo Gesù.