Santa Croce - Siamo il Paese europeo con più case di proprietà, ma il numero dei senzatetto è in costante aumento. A partire dal 2008 le persone senza fissa dimora sono aumentate e fra questi circa la metà, se non di più sono italiani. Anche nella nostra zona questa triste realtà è ben presente, per questo motivo, venti anni fa, esattamente nel 1998 a Santa Croce, in una zona industriale e periferica rispetto al centro, è stato ristrutturato un ex capannone industriale creando un centro di ospitalità notturno per i senza tetto, un luogo dove le persone in gravi difficoltà possano dormire e ripararsi dalle intemperie.
La struttura è gestita dall’associazione «Le Querce di Mamre» in convenzione con la cooperativa «La pietra d’angolo». All’entrata ci sono due uffici e più avanti in un corridoio si affacciano cinque camere ognuna delle quali con quattro posti letto e un bagno, procedendo nel corridoio si trova una sala grande con tavoli dove gli ospiti possono mangiare qualcosa, guardare un programma televisivo, prendere un caffè o una bibita dalle macchinette con pochi spiccioli, socializzare e stare insieme, anche se non sempre la convivenza è semplice. Ad accogliermi sono il responsabile della struttura Simone Lorenzini e il vice presidente dell’associazione «Le Quercie di Mamre», Alessandro Lapi il quale inizia subito a spiegare da dove arrivano i finanziamenti per la struttura: «In parte dai quattro comuni del Val d’Arno, San Miniato, Castelfranco, Montopoli V/A, S.Croce e parzialmente anche dal comune di Fucecchio, a seconda della provenienza degli ospiti. Un’altra parte di contributi arrivano dalla diocesi tramite l’8 per mille donato alla Chiesa Cattolica, infine ci sono diverse donazioni private». «La mattina la sveglia è alle 7 poiché alle 8 devono essere necessariamente tutti fuori - spiega Simone Lorenzini - dato che inizia la pulizia dello stabile, mentre la sera il centro riapre alle 19, ma gli ospiti possono arrivare fino alle 22». Nel centro non si può cucinare, ma agli uomini li alloggiati è permesso mangiare un panino o altro cibo già pronto che tutte le sere arriva dalle varie attività commerciali della zona: panifici, bar e da una mensa situata nei pressi del centro notturno, oltre che dal banco alimentare. «In altri centri non è permesso durante il giorno lasciare i propri effetti personali - ci racconta Simone Lorenzini - ma noi invece permettiamo che ognuno lasci le sue cose nel suo armadietto perché vogliamo che per quanto possibile, si sentano a casa». Le storie raccontate dai responsabili sono tante e dalle loro parole traspare un coinvolgimento emotivo, non sono freddi burocrati che amministrano una struttura facendone rispettare soltanto le regole, ma persone con una mente elastica, che pur con fermezza, cercano di volta in volta di capire, di mettersi nei panni delle persone che aiutano. Paradossalmente, come ci ha spiegato Alessandro Lapi, per gli italiani che occupano circa la metà della struttura, sarà più difficile trovare una soluzione alle loro dipendenze e alla disgregazione delle loro famiglie, mentre gli stranieri, oltre al fatto che sono più giovani, devono solo ottenere permessi e documenti, trovare un lavoro e piano piano riusciranno a inserirsi nel nostro tessuto sociale. Nel frattempo diversi uomini arrivano alla spicciolata, chiedo di parlare con loro, alcuni più schivi declinano il mio invito, non mi conoscono e la parola giornalista non li tranquillizza, ma qualcuno accetta di raccontarmi anche se in modo parziale e sintetico, la propria storia. T. è romano, 69 anni, divorziato, un figlio di 25 anni, da molto tempo ha perso il lavoro, faceva il piastrellista e siccome nessuno gli ha mai versato i contributi, non ha niente. Finché la madre è vissuta, pagava l’affitto della casa dove viveva con il figlio con la sua pensione, una volta morta T. si è trovato per strada. A. ha 63 anni ha vissuto a Castelfiorentino con la sua famiglia, una volta morti i genitori, si è trovato senza casa e senza lavoro, ha un fratello e una sorella, ma non possono o non vogliono ospitarlo. M. è originario di Venezia, anche lui ha una certa età e ha un figlio che adora. U. ha 29 anni e viene dal Pakistan. Occhi scuri penetranti e vigili, come chi deve stare sempre in allerta, nel suo paese la polizia obbedisce alle bande dei talebani, ci ha raccontato e quindi nessuno è al sicuro. U. è arrivato a Brindisi, passando dalla Grecia nel 2012, è andato in un primo momento a Milano, poi è tornato in Sicilia dove ha regolarizzato la sua posizione, dopo di che è andato a lavorare in una concia a Turbigo in provincia di Milano, sembrava che i suoi problemi fossero ormai alla fine, ma per una storia di cuore andata male ha scelto di andarsene, finché un giorno navigando su internet scoprì che a Santa Croce c’è un’industria conciaria, con la sua esperienza poteva avere una possibilità e infatti gli è stato promesso un contratto di lavoro a partire da settembre.
Il Comitato economico e sociale europeo ha detto: «Il Cese raccomanda di stanziare molte più risorse per affrontare il fenomeno dei senza tetto, soprattutto nell’ottica della costruzione di strutture abitative permanenti». Ma l’edilizia popolare è ferma e per molti italiani e naturalmente anche per i migranti, rimane la speranza di trovare un centro come quello di S.Croce, l’alternativa può solo essere un cartone per ripararsi dal freddo, una panchina o un portico, un po’ di cibo raccattato qua e là e dell’alcool con cui scaldare il corpo e il cuore.
«Un giorno o l’altro sarebbe andato anche lui a fare il barbone. E forse non sarebbe stato meglio cosi? Egli non aveva mai sentito pietà per i poveri autentici, genuini. Erano i poveri in giacchetta nera, i piccoli borghesi, che bisognava compiangere» (George Orwell).