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DALLA DIOCESI - La decisione della Regione Lazio di bandire una selezione di medici «abortisti» per le corsie dell’ospedale San Camillo ha riproposto il tema della legge 194/79 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Un fatto grave, discriminatorio, che mette in discussione l’isituto dell’obiezione di coscienza. Ne abbiamo parlato con il dottor Giovanni Belcari, giovane medico del 118 che lavora nel territorio diocesano.

Come medico cattolico, cosa pensa del caso “San Camillo”?
Il caso San Camillo rappresenta uno scandalo sotto ogni profilo: legale, sanitario, sociale. Scandalo sociale, perchè ci fa capire a quale livello la Salute amministrata da direttori sanitari di nomina politica sia arrivata: il concorso è stato proposto da un direttore sanitario nominato da una amministrazione regionale, concorso reinoltrato alla stessa regione, che lo ha poi approvato. Schema perfetto, per farci capire lo stato di stretta dipendenza tra salute e politica.
Scandalo sanitario perchè si fa un concorso aperto solo a non obiettori, invocando una presunta «emergenza abortiva», in un Paese in cui ogni anno ci sono più decessi che nascite, e nel quale ogni anno ci sono 100.000 aborti. Il direttore generale del San Camillo farebbe bene a studiare i dati ISTAT sugli aborti in Italia e a dirci quanti aborti vengano effettuati in Lazio e nella sua azienda in particolare prima di propinarci tali stupidaggini.
Da un punto di vista legale lo stesso direttore generale, e la Regione che lo ha appoggiato, hanno commesso una disciminazione impossibile da tollerare, un vero e proprio obbrobrio medico legale: pensate a cosa sarebbe successo se il concorso avesse previsto posti solo per «obiettori di coscienza»! Bene ha fatto l’Ordine dei medici locale a contrapporvisi in toto: la Legge si rispetta sempre, non lo si fa solo quando conviene. La 194 prevede l’obiezione di coscienza. In uno stato di diritto le leggi si rispettano in toto. Non nella percentuale in cui la propria percezione individuale, o il proprio partito, ci suggerisce. E la legge si rispetta anche se si è un direttore generale di un ospedale, specie se si è un Presidente di regione. La Legge è uguale per tutti.

Qual è il ruolo della coscienza nella sua professione?

La coscienza nella professione medica è tutto. È la luce che illumina la conoscenza. A tutti gli attacchi, specie di chi oggi vorrebbe il medico come mero esecutore, e latore di un sapere esclusivamente tecnico, ricordo che al medico, dal Quarto secolo avanti Cristo, si insegna ad operare in “scienza e coscienza”. Se qualcuno con una tessera di partito oggi si illude di trasformare secoli di tradizione, insegnamenti, etica medica, togliendo l’anima stessa all’opera di un medico, resterà deluso.

In quali ambiti la coscienza viene messa più alla prova?
Oggi, in qualsiasi settore la coscienza di un medico è teoricamente sotto attacco. Le convinzioni etiche, specie se radicate in un sentimento religioso cristiano, sono ridicolizzate, snobbate, messe in discussione, laddove non osteggiate o disprezzate pubblicamente. In ogni settore, in special modo sulle tematiche inerenti l’inizio ed il fine vita (veri e propri capisaldi imprescindibili sotto il profilo etico, del giuramento di Ippocrate), il perimetro della coscienza del medico, e il relativo campo di azione, sono ristretti da una concezione del rapporto medico paziente sempre più soffocante, per cui ogni richiesta, ogni desiderio, debba essere comunque esaudito: si pensi al suicidio assistito, alla somministrazione di farmaci abortivi, alla prescrizione di qualsiasi tipo di farmaco o droga che vedesse, come unico determinante, il desiderio del paziente di veder esaudito il suo «diritto», sempre e comunque al grido «un desiderio, un diritto».

Tra colleghi vi capita mai di confrontarvi su queste questioni?
Praticamente quasi mai. Non c’è cultura della bioetica se non in rarissimi casi demandati quasi esclusivamente all’iniziativa individuale.

Sulla questione del fine vita, c’è la percezione di un rischio di perdita della libertà del medico?
È indubbio. I reati attualmente vigente di omicidio del consenziente o istigazione al suicidio sono perle di civiltà giuridica e altissimi baluardi di etica medica. L’obiezione di coscienza resta l’ultima difesa in tal senso: in un sistema in cui intervenisse una legge che prevedesse l’obbligatorietà di esecuzione da parte di un medico di pratiche evidentemente omissive o addirittura suicidiarie, ci troveremmo di fronte ad un sistema normativo totalitario. I medici sono fatti per salvare vite. E ci si stupisce nel verificare che circa l’80% dei ginecologi obietti di uccidere esseri umani nel grembo delle loro madri? O che la maggioranza dei medici sia avversa totalmente a uccidere, anche un consenziente?

Dal suo punto vista, la fede quanto ancora entra negli ospedali, nelle case di cura, nei luoghi della sofferenza? E nel nostro territorio?
Pochissimo. La fede negli ospedali è sempre più retaggio del passato, in un tempo in cui assistenza e condivisione della sofferenza altrui sono sempre più rare. Negli ospedali è entrata la politica, l’aziendalismo, la tecnica. I vecchi Maestri insegnavano la compassione. “Cum patior”, “soffrire con”. Un esercizio ormai quasi perduto, segno di tempi in cui il legame medico paziente, era antropologicamente diverso. Compassione era una concezione laica del vivere il rapporto medico-paziente ma non era così dissimile dal comandamento «ama il prossimo tuo come te stesso». Abbiamo sempre più pazienti insoddisfatti, sempre più contenziosi medico legali, in passato la malasanità neanche esisteva. Adesso è vocabolo del gergo comune. Abbiamo vituperato il paternalismo dando spazio alla tecnica, al «lo voglio, perché posso farlo». La coscienza è diventata una parolaccia, un vezzo da relegare alla dimensione religiosa, la salute pubblica è circondata dallo spettro di «budget, riduzione posti letto, spesa, giorni di degenza, burocrazia in genere».
Abbiamo buttato fuori i Crocifissi dagli ospedali in nome dell’uguaglianza e del progresso e ci abbiamo infilato ancora più politica e ideologia. Falsi miti di progresso».

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