Cielo azzurro, aria quasi estiva e le verdi campagne del monte Subasio hanno fatto da cornice al «Week end di spiritualità» che si è svolto durante lo scorso fine settimana, 28-29-30 Marzo, presso casa San Girolamo, a Spello, organizzato dall’Azione Cattolica nazionale, e al quale hanno partecipato in 4 ragazzi portando in rappresentanza dell diocesi di San Miniato.

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Un’esperienza estiva, rivolta in genere ai ragazzi o ai giovani, in cui si gioca, si riflette, si prega, si cresce insieme. Oggi quella del campo scuola è una realtà comune e diffusa: li organizza l’Azione Cattolica, li organizzano parrocchie e associazioni. A volte cambia il nome ma il concetto è simile: come le «vacanze di branco» degli scout o le «vacanze di comunità» di Comunione e Liberazione.

Ma in Toscana i campi scuola fanno pensare subito ai villaggi della «Vela» e del «Cimone», quelli dell’Opera per la Gioventù «Giorgio La Pira». Intere generazioni di ragazzi sono passati da questi luoghi, nell’arco di sessant’anni di attività. Era il 1954 quando il Villaggio Il Cimone, a Pian degli Ontani, ospitava i primi ragazzi; nel 1955 è la volta del Villaggio La Vela, a Castiglion della Pescaia. Prima ancora c’erano stati i campi al Cavo, sull’Isola d’Elba.

Una storia che si intreccia con quella di Pino Arpioni, ideatore e grande promotore dei villaggi, e che viene raccontata nel libro di Claudio Turrini «Pino Arpioni e la Vela. Sessant’anni di campi-scuola» (Edizioni Cooperativa Firenze 2000). Un grande volume (272 pagine) pieno di fotografie e documenti: uno strumento prezioso per conoscere una delle figure più limpide e belle del laicato toscano del Novecento, e una delle realtà più significative nella vita delle Chiese toscane. Un libro che ha richiesto un lavoro certosino di ricerca negli archivi dell’Opera per la Gioventù, cercando di «spogliare» la storia da aneddoti e ricordi personali, per riportarla alla sua essenzialità. Una sorta di «scheletro», spiega Turrini nella nota introduttiva, su cui ciascuno potrà appoggiare la «carne» dei ricordi personali, dando vita così a ciò che sono stati questi sessant’anni. Un lavoro di precisione che il cardinale Silvano Piovanelli, nella sua prefazione, non manca di elogiare: «ci permette – scrive – di scoprire il vero Pino. Sono grato per questa fatica che, a dieci anni dalla morte, ci permette di vedere con chiarezza il suo segreto di vita, la sua molla propulsiva».

Anche il presidente dell’Opera, Gabriele Pecchioli, sottolinea: «Con ogni probabilità molti, non solo tra i più giovani, scopriranno in queste pagine testi o vicende che non conoscevano: in fondo Pino non ha mai amato raccontare le vicende passate, se non sporadicamente e senza mai indulgere a nostalgie e, soprattutto, senza mai mettersi al centro. Ma da queste immagini, da questi volti, dalle lettere, soprattutto dei primi tempi, dai racconti, dal susseguirsi delle vicende, tutti ritroveremo le radici e il progredire di quel servizio educativo da cui abbiamo ricevuto molto, a cui siamo stati formati, in cui siamo stati responsabilizzati».

Il libro parte dalla «preistoria» dei campi: così si scopre ad esempio che già nel 1952, dopo una prima esperienza con la Giac (la gioventù di Azione Cattolica) al Cavo nell’Elba, Pino Arpioni aveva chiara l’idea di ciò che sognava di realizzare. E nel verbale di una riunione regionale della Giac si trova la prima esposizione di un progetto per «la costruzione di due villaggetti in muratura: uno all’isola d’Elba, uno all’Abetone». Un’idea che si concretizzerà negli anni immediatamente successivi, anche se la sede marina sarà spostata per vari motivi in Maremma.

Scorrendo le pagine compare presto un altro protagonista, quel Giorgio La Pira di cui oggi l’opera porta il nome: le sue visite sono tra i momenti più «forti» dei campi. E poi le presenze russe, il viaggio ecumenico a Londra, i legami con Nomadelfia. L’incontro del 1982 con Giovanni Paolo II e Madre Teresa, di cui viene riportata l’ampia cronaca che ne fece L’Osservatore Romano. E la storia continua anche dopo la morte di Pino, nel 2003, con un impegno educativo che non è certo diminuito.

Un’intera sezione poi è dedicata ai documenti e alle lettere. Come la «circolare» del 1957, in cui Pino traccia un bilancio di quanto fatto in quei primi anni: «Prima di tutto sentiamo vivo il desiderio di ringraziare il Signore per le grande grazie concesseci. Ma un grazie vivo, sincero, anche a tutti coloro che ci hanno aiutato». Senza nascondere però le difficoltà: «Umanamente parlando le cose sono andate spesso nettamente alla rovescia: i piani spesso sono stati sconvolti da una dura realtà e da imprevisti di ogni genere». Cosa fare adesso, chiede Pino ai suoi giovani: e la sua richiesta è di «un grande sforzo di pensiero, di preghiera e di azione». «Dobbiamo svegliarci – scrive ancora – , dobbiamo aiutarci: oggi più che mai c’è bisogno di una grande leva di sane coscienze giovanili. Tutti dobbiamo sentirci impegnati, tutti dobbiamo contribuire. Non dobbiamo avere paura; anche se l’immoralità fa strage in mezzo ai giovani, anche se molte trincee cadono perché mal difese a causa della troppa superficialità, fiacca, mancanza di spirito di sacrificio, anche se il senso di avventura porta ancora i giovani a fare delle tristi esperienze, non dobbiamo avere paura. Avremo momenti duri, ma avremo anche momenti belli».

Il volume, di 272 pagine e con 440 foto, può essere acquistato tramite questo sito al prezzo speciale di 20 euro (con uno sconto del 20% sul prezzo di copertina). Per l'acquisto clicca qui.

La presentazione

Il volume verrà presentato giovedì 20 marzo 2014, alle ore 17,30, presso la sala dell'Annunciazione della Basilica della SS. Annunziata (ingresso da via Cesare Battisti, 6). Interverranno il card. Silvano Piovanelli, il prof. Piero Tani e Gabriele Pecchioli, presidente dell'Opera per la Gioventù «Giorgio La Pira». Sarà presente l'autore. Il giorno prima, mercoledì 19 marzo, Pino verrà ricordato nel novantesimo della sua nascita, durante la Messa che verrà celebrata alle 18 nella Basilica della SS. Annunziata.

La Diocesi, attraverso il Vicario generale don Desiderio Gianfelici, si fa interprete dello sgomento del Vescovo, con queste parole:

A distanza di neppure un mese dalla tristissima notizia della profanazione di una tomba al cimitero cittadino di Sterpeto, la nostra coscienza è nuovamente turbata dall’apprendere che un episodio analogo si è verificato anche al cimitero di Scarlino.

Il ripetersi di fatti tanto gravi, quanto dolorosi ci sgomenta e deve far preoccupare tutti coloro che hanno a cuore il senso del vivere sociale, dell’affettività, del rispetto e del culto per i defunti, del denominatore comune di valori a cui facciamo riferimento per una convivenza tra persone che umanizzi e non abbrutisca il nostro cuore.

La Chiesa di Grosseto esprime vicinanza alla famiglia vittima dell’orribile gesto della profanazione della tomba e dell’assurdità di un oltraggio su cui non possiamo passar sopra riducendone la portata a semplice atto vandalico senza conseguenze sul piano umano e sociale.

La Diocesi si unisce alla riprovazione generale e ripropone a tutti, con umiltà, ma anche con decisione, una riflessione sul senso del corpo e sul valore che dobbiamo dare ai resti mortali di chi ci ha preceduti nel cammino della vita: il corpo è il dono nel quale Dio infonde il suo “alito di vita”, è nel corpo che ogni creatura custodisce l’impronta indelebile del Creatore e non c’è nulla che possa giustificare  un atto di profanazione, che offende la memoria, gli affetti, la sensibilità e deforma quell’impronta divina.

Se rinunciamo alla riflessione collettiva dinanzi ad episodi tanto tristi e gravi, rinunciamo anche a valorizzare la dignità che si cela dietro quei gesti di pietà verso ogni defunto, che si radicano nella convinzione profonda che ogni persona è un dono indisponibile, verso cui c’è sempre e solo da coltivare il rispetto anche dopo la morte. Guai ad abituarsi a fatti di questo tipo; guai a non provare smarrimento e sofferenza; guai a lasciarci vincere dall’abitudine al male: ne va della nostra capacità di umanizzare tutto ciò che dentro e intorno a noi pulsa di vita. Anche dopo la morte.

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