DALLA DIOCESI - Ecco la terza lettera del carteggio che stiamo pubblicando sulle pagine del giornale diocesano. Una lettera affettuosa, una difesa accorata del sacerdote sanminiatese, che non esita a definirsi un "eretico in erba": perché così lo avevano dipinto i suoi contemporanei diocesani. Un altro tassello di questa interessante storia, viene quindi pubblicato quasi integralmente, a beneficio degli studiosi.
Lari in Toscana, 18 ottobre 1850
Egregio ed illustre Gioberti.
La promessa di tenervi informato delle piccole cose mie non deve andar vuota. Onorato della pregevole Vostra lettera, trascrissi al Cardinal di Ferrara tutto quanto lo riguardava: e son persuaso, che il più terribile disinganno lo accompagnasse alla tomba. Parce sepulto. Per altro la morte di Cadolini mi tolse l’appoggio per condurre a fine il mio scritto. Quando si volle atterrirmi collo spauracchio della persecuzione, tenni fermo. Quando dal mio Vescovo fui ammonito di non pubblicare cosa alcuna in proposito del Curci senza attendere risoluzioni dal Santo Padre (è chiaro che il mio carteggio col Cardinale andò a Roma), diedi parola di canonica deferenza, ma non ritrassi la mano dall’intrapreso lavoro. (…) La Curia, il Vescovo e il più vecchio teologo della Diocesi mi si rovesciarono contro con i più gravi ammonimenti: venni in sospetto di mal fermo nella fede con qualche accenno a Giansenismo e Razionalismo: e il teologo pretese convincermi per ridurci a ritrattazione. (…) Io risposi con tutta franchezza: essere la vostra distinzione fondata su tutti i Teologi, non escluso il Perrone; avere il Papa la duplice prerogativa di Giudice personalmente infallibile nelle questioni di Fede e di morale, e di sommo autorevole Legislatore e Pastore nel reggere per sé e per altri la Chiesa di Dio con salutari provvedimenti. (…) Quindi continuando a giovarmi di dottrina prettamente romana, investii l’argomento contrario colla seguente distinzione, che parvemi stringentissima: " Se la parola del Pontefice è staa proferita ex Cathedra come autentica interpretazione della Scrittura e della Tradizione, la parola è divina: e conseguentemente vuole essere da noi ricevuta siccome regola di nostra fede. Se poi la parola del Pontefice è profferita in altra forma che non importi decisione definitiva in materia di fede o di costume: e segnatamente se il Decreto cui è applicata è negativo. La parola è umana, siccome procedente da convinzione morale, cui, extra judicium de Fide, non è annessa la prossima assistenza dello Spirito Santo". (…) A queste qualunque siano osservazioni non fu data risposta di sorta, né ho potuto sapere, se tuttavia mi si ritenga qual nuovo eretico in erba, come voi dite coll’usata vostra leggiadria. (…) Se vi occorresse per avventura servirvi dell’oscuro mio nome e di tutto quanto vi ho scritto, valetevene con libertà (…). Quantunque vi abbia posto la provvidenza a prova sì dura che (per quello mi sappia) non ha esempio nella storia degli uomini devoti sinceramente alla Chiesa e a Roma; con tuttociò avete lingua e valente penna per iscornare da voi medesimo la brutta genia e la folle audacia di tutti i vostri calunniatori. L’Italia specialmente attende con impazienza una risposta piena, degna di Voi. Io mi adiro che dobbiate interrompere il compimenti dei vostri lavori per iscendere così basso; ma vedo bene, non esservi altra via, onde tornare in credito universale le vostre teorie religiose e civili.