DALLA DIOCESI - Può stare in piedi un’Europa priva di identità spirituale? Sembra proprio di no. Indubbiamente i motivi per cui i cittadini britannici hanno deciso di uscire dall’Unione Europea non sono di natura religiosa o morale. Troppa burocrazia, poca politica, e un’egemonia franco-tedesca inaccettabile per la Gran Bretagna sono tra i motivi principali della Brexit. Ma non possiamo ignorare che alla base della più generale decadenza del progetto europeo c’è il rifiuto delle comuni radici culturali. Quando furono firmati i Trattati di Maastricht, papa Giovanni Paolo II insisté perché venisse inserito il riferimento alle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Purtroppo questo appello fu ignorato, principalmente per l’opposizione del presidente francese Chirac, desideroso salvaguardare la laïcité e di tenere aperte le porte dell’Europa alla Turchia.
Il risultato è stato l’affondare dell’Europa tra le opposte derive del relativismo e del fondamentalismo. Lo denunciò con chiarezza papa Benedetto XVI durante la sua visita in Francia nel settembre del 2008, in un contesto segnato da una laicità per secoli intesa come laicismo anticristiano e anticlericale. E lo fece ricordando le radici monastiche dell’Europa. Nei monasteri, in un’epoca di sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione di popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, non solo si conservarono i tesori della cultura antica, ma se ne costruì una nuova, basata sullo studio e sul servizio della Parola. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, i monaci volevano fare la cosa essenziale, impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre: erano alla ricerca di Dio. Una ricerca basata sulla Scrittura, da approfondire anche grazie alle «scienze profane». Così, ogni monastero aveva sempre una biblioteca e una scuola. E nel coro quella stessa Parola veniva celebrata. Qui si formò la cultura europea – che comprende la riflessione filosofica e teologica, la letteratura, l’arte e la musica.


Il richiamo a queste radici monastiche è essenziale per evitare i due rischi opposti: il fondamentalismo – il quale pretende che la Parola di Dio non abbia bisogno d’interpretazione, perché la semplice «letteralità del testo» sarebbe più che sufficiente – e il relativismo, cioè l’interpretazione arbitraria fondata semplicemente sulla propria idea, sulla visione personale di chi interpreta. La lectio monastica è infatti atto di interpretazione comunitario.
Le radici monastiche dell’Europa, ha ricordato papa Benedetto in quell’occasione, rimandano poi al lavoro, non più visto come opera da schiavi ma come collaborazione alla creazione. Anche qui alla base di tutto c’è la visione giudeo-cristiana di Dio, che a differenza delle divinità greco-romane, è il Creatore e continua a lavorare lungo la storia degli uomini. Pertanto il lavoro manuale è parte costitutiva del monachesimo cristiano: una buona pedagogia di formazione all’impegno della volontà e una nozione di cultura più ricca di quella greco-romana, di cui fanno parte a pieno titolo anche le attività economiche e produttive. Questo è il fondamento del grande sviluppo economico dell’Occidente.
Rileggendo la riflessione di Benedetto XVI sulle radici monastiche della cultura europea, ci si rende conto che non si tratta di un puro richiamo storico o di nostalgia da eruditi. Separato dalle sue radici l’albero è destinato a seccarsi e a morire.

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