DALLA DIOCESI - La Via Crucis è un esercizio di pietà molto caro al popolo cristiano, che ripercorre il cammino doloroso compiuto da Gesù il Venerdì Santo a Gerusalemme, dal pretorio di Pilato al Calvario. Di origine medievale, la Via Crucis come la conosciamo oggi si è formata in ambito francescano, con un radicamento nella devozione dello stesso San Francesco per l’umanità di Cristo e per la sua Passione e Morte. Da San Bonaventura a Jacopone da Todi, da Ubertino da Casale alle mistiche italiane, i seguaci del Poverello di Assisi svilupparono una forte sensibilità per la sofferenze patite dal Salvatore. Oltre a questa sensibilità, influì sulla formazione della Via Crucis il rifiorire dei pellegrinaggi in Terra Santa in seguito alla Prima Crociata e la presenza stabile dei frati Francescani come custodi dei luoghi santi a partire dal 1333.
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SAN MINIATO - “E vide e credette”: così il vangelo di Giovanni ci racconta lo sguardo e il cuore del discepolo amato che, insieme a Pietro, entra nel sepolcro vuoto, la mattina di Pasqua.
E’ questa la notizia bella della Pasqua: “e vide e credette”, cioè è il vedere che diventa vita nuova; è il vedere che diventa incontro con un vivente, il Risorto, Gesù.
Da allora questa avventura si ripete ogni giorno, nella Pasqua la celebriamo solennemente, da sempre la Chiesa la annuncia.
In questi tre mesi da quando sono arrivato nella nostra terra di San Miniato posso raccontare la stessa esperienza dei discepoli: “e vide e credette”. Così posso annunciare e raccontare la notizia straordinaria della Pasqua, di una vita dopo la morte, della presenza operante di Gesù risorto in mezzo a noi.
Molte sono le immagini, i volti, i momenti, gli incontri che nel corso di queste settimane con voi, a San Miniato, fin dal giorno della mia ordinazione episcopale, sono stati occasione per “vedere”.
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Eccellenza, sono già passati quasi cento giorni dal suo ingresso in diocesi, può fare un primissimo bilancio di questi mesi?
Per fare un bilancio penso sia ancora presto. Si può dire che l’avventura dell’iniziare il cammino in diocesi, un percorso per me assolutamente nuovo in ogni senso, ha comportato l’incontro con volti, situazioni, realtà ecclesiali, civili, lavorative che mi hanno dato modo di avere una prima comprensione della realtà diocesana. E ho potuto apprezzare come in ogni diverso luogo, parrocchia, realtà si trovino elementi promettenti e positivi, insieme a sfide da affrontare. Potrei riassumere così: finora è stato il tempo dell’incontro e della conoscenza; credo che questa fase debba ancora proseguire. Poi riflessione e confronto aiuteranno a proseguire il cammino, fare le scelte necessarie, promuovere il bene che già c’è.
Ha visitato la quasi totalità delle parrocchie e buona parte del territorio, che sensazione ha avuto?
Anzitutto la sensazione di una grande accoglienza, cordialità e offerta di collaborazione. Ho trovato tante porte aperte… In generale potrei dire che ho provato la sensazione dell’entrare in una famiglia e di cominciare a sentirmene parte. Inoltre ho apprezzato la vivacità del territorio sia nelle realtà parrocchiali, con la presenza dei preti e dei laici, sia nelle realtà civili come la presenza delle contrade. Non posso dimenticare anche la sensazione di pace e di serenità che regala il bellissimo territorio toscano sul quale si distende la nostra diocesi.
Cosa l'ha colpita di più?
La voglia di incontrare della gente, i tanti sorrisi, strette di mano, desideri di incontrarsi. Tutto questo poi collocato in realtà ecclesiali e parrocchiali notevoli, anche dal punto di vista artistico oltre che per le opportunità pastorali. Inoltre mi ha colpito anche la realtà lavorativa, con le diverse imprese del comparto conciario e quindi il pensiero alle tante famiglie coinvolte in questo mondo.
Dopo questo primo giro di visite, qual è secondo lei l'urgenza primaria, o le prime indicazioni, per la comunità diocesana.
Credo sia necessaria una riflessione su quelle che vengono chiamate unità pastorali e quindi la collocazione dei preti nelle varie parrocchie, insieme alla promozione dei laici: le forze diminuiscono e occorre pensare a come affrontare le situazioni future. Oltre a questo mi pare che ci sia la necessità di promuovere la pastorale giovanile, soprattutto creando occasioni di incontro e di dialogo con i giovani; penso anche alle famiglie, nelle varie situazioni che incontrano e alla attenzione che si deve dare ad esse; infine si dovrà dare attenzione alla realtà culturale, facendo tesoro di quanto emerso al Convegno ecclesiale di Firenze riguardante il nuovo umanesimo.
Una domanda personale, le manca Pavia?
Risponderei così: mi fanno piacere le occasioni di incontro che ho talvolta con la mia famiglia, con tanti amici pavesi, con la chiesa di Pavia, in particolare il seminario. Sono realtà che porto nel cuore e verso le quali sono particolarmente grato. La serenità che questo regala rende ancor più bella per me la presenza a San Miniato e il mio camminare con la nostra chiesa.
DALLA DIOCESI - La liturgia della quinta domenica di quaresima ci accompagna a gustare il dono della misericordia di Dio, quel dono che il Giubileo che stiamo celebrando invita a scoprire e a lasciar operare in noi. E questa domenica che ci avvicina sempre più alla Pasqua di risurrezione ci conferma e ci rianima nel cammino di conversione, nel percorrere i passi che ci portano al dono della propria esistenza e al trionfo della vita nella risurrezione. E’ il mistero del Signore Gesù che contempleremo e vivremo ed è anche il racconto della nostra vita, della nostra vocazione, il dono, cioè una esistenza, una storia che si dona e che scopre che sempre il Signore riempie di vita.E’ in questa cornice che questa sera celebriamo un passaggio significativo della vita e della vocazione di Federico. La Parola di Dio indica questa sera al nostro seminarista i passi da compiere: dona la vita, non temere di perderla; non smettere di lasciarti riempire dalla vita che regala Dio, dal suo amore e di questo diventa annunciatore, testimone. Il rito di ammissione tra i candidati agli Ordini sacri esprime questa dimensione pasquale della vita, un morire che si apre al dono di Dio. Con la celebrazione di oggi Federico dichiara pubblicamente nella comunità cristiana di aver compreso che il Signore lo chiama a questo dono della vita, nella via verso il presbiterato; allo stesso tempo la Chiesa afferma qui di riconoscere in Federico i segni della chiamata di Dio e si impegna ad accompagnarlo verso la meta. Le letture proclamate accompagnano questa celebrazione, le scelte che Federico sta compiendo e il cammino di tutti noi.
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SAN MINIATO - Lunedì 7 marzo, presso l’aula magna del seminario diocesano si è svolto un importante incontro dal titolo: “Progetto dialogo. Conoscere per costruire la pace”. Gli argomenti trattati hanno riguardato la delicata situazione della Siria prima e durante la guerra, supportati dalla presentazione del libro “Padre Paolo Dall’Oglio. Uomo di dialogo ostaggio in Siria”
I due interventi, quello della dottoressa Benedetta Panchetti e quello della dottoressa Chiara Lapi, sono stati moderati da don Andrea Cristiani, che ha affermato : «sono contento di poter dare il mio contributo soprattutto perché è importante vedere le varie organizzazioni del mondo cattolico che cooperano e si interrogano nel tentativo di cercare soluzioni a problemi che sono di tutti».
Quello che emerge dall’intervento della dottoressa Panchetti è una constatazione di fatto: prima della guerra c’era in Siria un popolo la cui pluralità era improntata al reciproco rispetto. “Ogni chiesa ed ogni comunità musulmana applicava il proprio diritto interno anche per quanto riguarda matrimonio e filiazione”. Una riforma del 2006 aveva, poi, introdotto “la libertà di conversione anche dall’Islam al Cristianesimo”. Dal 2011, con l’affermarsi di Al-Nusra, filiale siriana di Al-qaeda e del califfato, cioè l’Isis, la situazione è peggiorata in modo drastico. Basti pensare a quello che avviene nella valle dell’Oronte: “I cristiani rimasti là sono ancora ostaggio di Al-Nusra. È vietato celebrare messe; è vietato esporre croci; è vietato bere alcolici... anche il vino per la messa... E’ stato posto l’obbligo di distruggere o coprire le immagini e le statue dei santi... è stato posto di pagare la jgyzia, l’antica tassa di Maometto per i cristiani”… pena la morte.
SAN MINIATO - Mai semplici locandine. Ma qualcosa di più. Molto di più. Fin dallo spettacolo d’esordio "La maschera e la grazia" di Ghéon che fu firmato da Dilvo Lotti, l’artista che dei 69 esemplari detiene il record della stragrande maggioranza di realizzazioni. Stiamo parlando dei manifesti del Dramma Popolare di San Miniato. Incisioni in genere, preziose, per lo più su legno e poi riprodotte al torchio nella storica tipografia Palagini che da poco tempo non c’è più e che ha stampato tutta, o quasi, la storia del Teatro del Cielo iniziata nel 1947: un teatro sotto le stelle, una «scena sacra» davanti al Duomo, per interrogare con spettacolo in prima nazionale l’animo umano.
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DALLA DIOCESI - «A cosa pensava Gesù, mentre s’avviava lentamente con la croce sulle spalle verso il Calvario? La sua mente e il suo cuore erano ricolmi di contrastanti sentimenti, oppure l’arresto, la farsa del processo e i colpi di frusta l’avevano ormai completamente svuotati? E ancora, Gesù, lungo il percorso che lo avrebbe portato verso la sua morte certa, rimase chiuso in sé avvolto da un sordo silenzio o in uno straziante dialogo muto, avrà continuato a parlare col Padre Celeste?». Sono questi alcuni degli interrogativi che hanno ispirato il grande autore Beppe Dati nella stesura della «Via Crucis», opera che segue «Il mio Gesù», che sta girando nei teatri italiani.
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