SAN MINIATO - La scorsa settimana abbiamo ricordato il sacerdote e soldato Giuseppe Agnoloni, che figura nell’elenco dei presbiteri della Diocesi chiamati alle armi durante il primo conflitto mondiale. Prima della Grande Guerra però egli aveva seguito un brillante cursus honorum di studente, terminando la teologia nel Seminario sanminiatese (1909) e poi iscrivendosi all’Università di Pisa al corso di Laurea in Scienze naturali (anno accademico 1911-1912). Una foto inedita dagli archivi d’ateneo ci mostra il giovane Agnoloni, matricola universitaria. Già in quegli anni egli mostra una grande propensione al viaggio, al visitare luoghi nuovi, allo spostarsi. Passione che segnerà tutta la sua vita: aveva visitato tutti i continenti e molti stati del mondo conseguendo quelle conoscenze dirette degli ambienti naturali che gli permetteranno di appassionare decine di studenti del seminario nelle sue lezioni di geografia.
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DALLA DIOCESI - La pubblicazione dell’Esortazione apostolica «Amoris laetitia» in cui Papa Francesco tira le somme dei due sinodi sulla famiglia recentemente celebrati ha fin da subito creato un vivace dibattito tra fedeli, sacerdoti, operatori pastorali anche nella nostra diocesi.
I temi spinosi trattati all’interno dell’ultimo documento firmato da Francesco sono molteplici: dalla pastorale dei divoraziati risposati all’ideologia gender, dal ruolo della famiglia nella società contemporanea all’approccio alle nuove forme di unione.
Ciò che fa discutere è soprattutto la preminenza che il Sommo Pontefice dà all’accoglienza della persona, da accompagnare nella gradualità del suo cammino, piuttosto che all’oggettività degli insegnamenti del Magistero riguardo al matrimonio e alla famiglia, che non possono certo essere modificati né tantomeno cancellati con un colpo di spugna. Si tratta dell’antico difficile equilibrio tra il «bastone e la misericordia» che da secoli caratterizza il Magistero della Chiesa, che di volta in volta può sottolineare di più gli aspetti dottrinali o quelli pastorali.
Non ci sono cambiamenti nei contenuti della fede e della morale ma sicuramente c’è una sfida, posta dal mutare delle sensibilità e dei rapporti sociali, che i vescovi, i parroci e tutti gli operatori nel campo dell’evangelizzazione sono chiamati a cogliere e ad affrontare.
C’è indubbiamente un aumento di responsabililtà: quali criteri devono guidare il discernimento, caso per caso, nel rapportarsi con chi ha alle spalle un matrimonio fallito e ha realizzato la propria vita in un’altra unione? Qual è il punto di equilibrio tra la non discriminazione delle persone e l’esclusione di un appiattimento che tende a equiparare ogni tipo di convivenza al matrimonio tra uomo e donna? Certo i criteri dovranno essere forniti perché le scelte pastorali dei singoli pastori non siano dettate da un arbitrio che nulla ha a che vedere con la carità cristiana.
DALLA DIOCESI - Sia fin da subito chiaro: credere o non credere in Dio e orientare la propria vita di conseguenza le considero scelte egualmente legittime. Non ho niente da dire su chi si professa ateo e si comporta in maniera onesta e rispettosa del prossimo. Sono infatti consapevole che sull’opzione di fede influiscono fattori biografici e predisposizioni personali che sfuggono a un’analisi precisa. Essendo la fede, dal punto di vista teologico, la risposta libera dell’uomo a Dio che si rivela nei tempi e nei modi che a Lui piacciono, sarebbe ingiusto attribuire alla non credenza in generale un aspetto di colpevolezza.
Non intendo quindi criticare l’ateismo come scelta personale, bensì quel fenomeno più specifico che potremmo definire “ateismo militante”. Mi riferisco a quella serie di comportamenti aggressivi messi in atto da chi, solitamente basandosi su argomenti di tipo filosofico, storico o scientifico, intende ridicolizzare i credenti, accusandoli di ingenuità, irrazionalità e ignoranza, e denigrare la religione presentandola come fonte di arretratezza, oscurantismo e violenza. Sono certo che il lettore avrà avuto modo di riscontrare questo tipo di argomenti nei più vari contesti, dal dibattito televisivo al best seller in libreria, dalla lezione del professore post-sessantottino alla polemica sui social network.
SAN MINIATO - Oggi ricordiamo la figura del prete soldato Giuseppe Agnoloni (1887-1967) - il canonico Agnoloni, come lo ricordano ancora i preti più anziani della Diocesi - la cui memoria è ancora viva tra quanti lo hanno avuto negli anni Cinquanta e Sessanta come insegnante in Seminario. Le informazioni che abbiamo trovato su questo dotto sacerdote saranno pubblicate in due puntate. A differenza delle altre piccole schede biografiche sui sacerdoti impegnati in vari ruoli nel primo conflitto mondiale, sul canonico Agnoloni abbiamo potuto infatti beneficiare, oltre che dei racconti dei confratelli che lo hanno conosciuto, anche della cortesia di un narratore di eccezione, il nipote dott. Raffaele, che in una lunga intervista rilasciata in Seminario, ha raccontato aneddoti, vicende, episodi simpatici sulla vita dello “zio Beppe” che sono andati ad arricchirei dati archivistici in nostro possesso. Giuseppe Agnoloni era l’ultimo di quattro fratelli – Enrico, Mario e Silvio – figli di Cesare,nativi di Corazzanno nel casato che prende ancora quel nome (“case Agnoloni”).
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