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SAN MINIATO - Quest’anno il dramma popolare si accinge a celebrare i settant’anni dal suo esordio. Proprio in quest’occasione il presidente della Fondazione Istituto Dramma Popolare Marzio Gabbanini ha voluto che i manifesti, segno di un’arte che non muore mai e che sempre si rinnova, fossero restaurati ed esposti in una mostra presso la sede della fondazione, in Piazza del seminario, la prima domenica di ogni mese da marzo a giugno 2016.
Settant’anni di manifesti in cui la tecnica utilizzata è la xilografia, il procedimento di stampa più antico. Si, tratta, in particolare di incisioni su legno riprodotte al torchio della storica Tipografia Palagini che da poco tempo non c’è più. A lei il merito di aver stampato tutta, o quasi, la storia del dramma iniziata nel 1947.
Osservando i manifesti ci si accorge che tutti – eccetto quello del 1949 – sono tripartiti in verticale. Il ruolo fondamentale è giocato dai contrasti tra bianco e nero che, con i tratti più o meno marcati del segno dell’incisione, sono diventati l’espressione unica e immediata dei testi da cui cogliere un messaggio di sacralità.
La prima firma, quella del primo manifesto, è di Dilvo Lotti. Era il 1947 ed uno dei fondatori del dramma popolare, che sarà tanto caro a San Miniato, siglava la locandina de “La maschera e la grazia” di Henri Gheon, per la regia di Alessandro Brissoni. Si trattava della rappresentazione della vicenda dell’attore pagano Genesio, il quale, mentre recita viene folgorato dalla grazia e si converte al cattolicesimo.
DALLA DIOCESI - Quando Don Ciotti, in visita a Perignano lo scorso dicembre, disse ai tanti giovani e giovanissimi presenti: «Dobbiamo dircelo, abbiamo perso la battaglia con la droga», molti storsero il naso.Eppure il “pretaccio” don Luigi, che conosce bene questo male oscuro, ancora volta aveva ragione e l’arresto di due spacciatori avvenuto due settimane fa nel territorio del valdarno, ha riportato il dramma del consumo e spaccio della droga alla ribalta della cronaca. Un problema da sempre presente anche in questa porzione di territorio di provincia. Un “mostro” tenace e furbo, che negli ultimi anni ha imparato a cambiare pelle, a diffondersi ancora tra i giovanissimi. «Non esiste l'emergenza droga, esiste il problema della droga e delle dipendenze, un fenomeno che entra a intermittenza nella cronaca locale ma esiste sempre nel quotidiano» – ci dice don Armando Zappolini, presidente del Comitato Nazionale Comunità d’Accoglienza, parroco di Perignano e da anni in prima linea per combattere il problema delle dipendenze - .
Quindi tu dici che è ancora molto diffusa?
«Certamente. La droga è molta diffusa, come è diffuso l'uso delle altre sostanze chimiche che modificano il comportamento e portano allo sballo. Tra l'altro è cambiato il percorso di accesso alle sostanze stupefacenti: oggi si parte con l'alcol, ormai sdoganato da uno stile di vita che minimizza i danni e che anzi ne promuove il consumo».
Ovvero?
«Oggi i giovani si ritrovano in bar o locali dove si inizia a bere già prima di cena. Naturalmente non è tanto la pratica dell’aperitivo, o dell’ happy hour, ma è fondamentale sapere che anche l’alcol crea dipendenza ed è oggi la principale porta di accesso alle droghe».
Come far passare il messaggio che il problema droga – dipendenze esiste e non va sottovalutato?
«In primo luogo si deve lavorare sulla prevenzione. Il problema è che in pratica nessuno la fa più sul serio. Le istituzioni, asl, associazioni e anche – e soprattutto – le parrocchie non lavorano in modo adeguato su informare sulla reale pericolosità della dipendenza da alcol e delle altre dipendenze. Certamente dobbiamo tornare a lavorare sull'educazione alla buona vita e non sulla “oppressione” dei comportamenti. Nelle nostre realtà infatti non si lavora a sufficienza sulla creazione di esempi di vita, in particolare per i giovani. Una delle cause principali del ricorso allo sballo è infatti la mancanza di attività ed esempi positivi».
Quali?
«Dobbiamo coinvolgere i giovani in attività che contrastino la noia e che propongano uno stile di vita diverso. Ad esempio puntare di più su associazioni sportive, culturali, ed è giusto sottolineare che anche le parrocchie non possono essere soltanto luogo di devozione, ma anche di accoglienza ed esempio. Un cambio di atteggiamento è necessario».
Cosa può fare il territorio?
«Innanzitutto porsi una domanda: una società che cerca in modo sfrenato la ricchezza, i soldi facili, il piacere e che non crea esempi positivi per i ragazzi può stupirsi davvero della diffusione di comportamenti negativi da parte dei giovani? E chiaro che va fatta una riflessine profonda su questo tema, e perchè no, a livello locale sarebbe bello convocare gli «stati generali sulla droga» per avviare, almeno qua, un ragionamento serio sul dramma delle dipendenze».
DALLA DIOCESI - Organizzato dall’Opera SpathaCrux Onlus che opera nel campo della formazione dei giovani alla cittadinanza attiva, della tutela e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale del territorio e della beneficenza e che ha organizzato sinora a San Miniato, dove ha la propria sede principale, e a Firenze, dove si accinge ad estendere la propria area di competenza, eventi culturali di ampio respiro ed altre iniziative. Sabato, l’OSC Onlus organizzerà questa prima apericena di beneficenza finalizzata al sostegno del progetto solidale Checkpoint Africa, volto alla partecipazione al 4L Trophy (wiki: https://it.wikipedia.org/wiki/4L_Trophy) un rally umanitario di rilevanza europea, fondato nel 1997 in Francia, che parte ogni anno da Parigi per raggiungere Marrakesh, a cui partecipano studenti universitari provenienti da tutta Europa per portare beni di prima necessità, generi alimentari, materiale scolastico e medicinali ai bambini del Nord Africa.
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SAN MINIATO - Lunedì 7 marzo, presso l’aula magna del seminario diocesano si è svolto un importante incontro dal titolo: “Progetto dialogo. Conoscere per costruire la pace”. Gli argomenti trattati hanno riguardato la delicata situazione della Siria prima e durante la guerra, supportati dalla presentazione del libro “Padre Paolo Dall’Oglio. Uomo di dialogo ostaggio in Siria”
I due interventi, quello della dottoressa Benedetta Panchetti e quello della dottoressa Chiara Lapi, sono stati moderati da don Andrea Cristiani, che ha affermato : «sono contento di poter dare il mio contributo soprattutto perché è importante vedere le varie organizzazioni del mondo cattolico che cooperano e si interrogano nel tentativo di cercare soluzioni a problemi che sono di tutti».
Quello che emerge dall’intervento della dottoressa Panchetti è una constatazione di fatto: prima della guerra c’era in Siria un popolo la cui pluralità era improntata al reciproco rispetto. “Ogni chiesa ed ogni comunità musulmana applicava il proprio diritto interno anche per quanto riguarda matrimonio e filiazione”. Una riforma del 2006 aveva, poi, introdotto “la libertà di conversione anche dall’Islam al Cristianesimo”. Dal 2011, con l’affermarsi di Al-Nusra, filiale siriana di Al-qaeda e del califfato, cioè l’Isis, la situazione è peggiorata in modo drastico. Basti pensare a quello che avviene nella valle dell’Oronte: “I cristiani rimasti là sono ancora ostaggio di Al-Nusra. È vietato celebrare messe; è vietato esporre croci; è vietato bere alcolici... anche il vino per la messa... E’ stato posto l’obbligo di distruggere o coprire le immagini e le statue dei santi... è stato posto di pagare la jgyzia, l’antica tassa di Maometto per i cristiani”… pena la morte.
STABBIA - La presenza di gruppi etnici diversi sta diventando oramai una costante anche nel territorio diocesano. E’ un fenomeno che dura oramai da anni e sul quale il giornale diocesano ha già puntato i riflettori, parlando del tema immigrazione. Visitiamo oggi la realtà di Stabbia, comune di Cerreto Guidi, il paese che – insieme a Fucecchio – ospita la comunità cinese più grande nel territorio diocesano. Il rapporto con questi immigrati, oramai insediatisi stabilmente, è stato contrastante. La popolazione tendeva inizialmente a “ignorare”, a guardare con diffidenza, a far finta di non vedere. Le timide reazioni non potevano venire infatti dalla popolazione stessa, che inizialmente ha fatto “affari” con l’imprenditoria straniera nascente affittando fondi commerciali vuoti, abitazioni e interi capannoni. Poi la musica è cambiata: è arrivata la crisi economica per molte piccole e medie imprese – che a Cerreto Guidi costituivano la spina dorsale dell’occupazione nei settori calzaturiero e della lavorazione della pelle – ed è iniziato il j’accuse della popolazione locale e degli imprenditori.
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